Berlino, fogna d’Europa

Prima d’iniziare questo articolo va chiarito che qua non si parlerà di Berlino come la de facto capitale politica d’Europa, ossia il luogo dove si prendono le decisioni che stanno distruggendo l’economia di molti Paesi europei e la vita dei suoi cittadini, eventi che – per l’ennesima volta nella storia – fanno di quella città il male assoluto. Qui ci concentreremo su Berlino come luogo urbanizzato, dove vivono milioni di persone.

In quest’ottica, bisogna innanzitutto dire che Berlino non è Germania. Chi vi si reca lo deve tenere ben presente. Le piste ciclabili sono poche, pericolose (addirittura messe tra le rotaie del tram!!!) e fatte male, e c’è chi va in bici sui marciapiedi; per terra si trova cacca di cane; per strada c’è un traffico bestiale; la birra che vi si beve fa schifo (e la servono pure calda); in giro si sente continuamente parlare italiano (decine di migliaia sono i residenti italiani), mentre il tedesco là parlato è pessimo, e sembra quasi un dialetto. Si tratta di piccolezze, quasi insignificanti. Quasi. Perché in realtà sono sintomatiche. Forse Berlino non è mai stata Germania, è vero, ma quella che veniva chiamata la piccola Istanbul (Berlino Ovest), con un milione di turchi là residenti, invece di dare vita ad un meraviglioso esperimento sociale, attraverso l’unione con (o annessione de?) la Berlino che era oltre l’ex Cortina di Ferro ha creato un volgare baraccone in mano alla più truce speculazione edilizia, ed è diventata scenario di vera e propria pulizia etnica.

Va infatti specificato che gli alloggi a Berlino oggi sono tutt’altro che economici. Altro che città “povera ma sexy” come andava dicendo negli ultimi anni un suo sindaco! I processi di speculazione edilizia e gentrificazione sono stati brutali. Intere aree sono state rase al suolo per venir ricostruite, mentre il centro (Mitte), il bel quartiere di Prenzlauerberg (non distrutto durante la guerra) ed i quartieri “alternativi” come Kreuzberg hanno visto la popolazione da sempre là residente spazzata via dai forti rincari degli affitti e dall’acquisto di interi palazzi da parte di società straniere, da ristrutturare e rivendere a prezzi inavvicinabili, oppure da buttare giù e ricostruire.

Vivere a Berlino oggi costa caro. Inoltre da quando a livello nazionale le politiche di sussidi per i disoccupati sono state drasticamente riviste e ridotte, i nullafacenti giovani tedeschi sono stati piano piano sostituiti da giovanotti stranieri (specie italiani) mantenuti da facoltosi genitori. Soprattutto perché vivere a Berlino è “alla moda”. Insomma, per ridurre il tutto alla brutale evidenza: fa fico stare là.

Ma cosa è oggi Berlino? Quella che a tutti gli effetti è il centro decisionale d’Europa, è la città dei fighetti e degli pseudo-alternativi, è la capitale europea del fascismo, di chi ha cacciato via i punk ed i veri berlinesi (tedeschi o turchi) con naziste opere di gentrificazione. “Fate largo, poveracci! Arrivano i soldi dei rivoluzionari con i jeans strappati ma firmati!”. Il festival del cinema è quanto di più impegnato dal punto di vista valoriale che si possa incontrare da quelle parti. Ed è lo stesso festival che nel 2016 ha premiato “fuoco a mare”, un film che ha trasformato una immane tragedia in uno spettacolo da pop-corn. Quale miglior metafora per descrivere la superficialità di quella città?

La gentrificazione è processo di matrice economica, che però ha soprattutto devastanti impatti culturali (nel senso antropologico del termine, che quindi non riguarda né “istallazioni”, né “eventi”, tanto cari a qualcuno) e sociali. Ciò che fa orrore è la pastorizzazione e la conseguente omologazione, persino di luoghi che invece avevano una propria spiccata identità. Come ad esempio la porta di Brandeburgo, una volta libera ed imponente, che oggi è invece compressa da due bracci laterali (un hotel extra lusso ed una ambasciata), che la riducono a fare da entrata ad una asettica piazzetta, con un effetto che tanto sa di ingresso ad un centro commerciale. Assistiamo perciò a quei fenomeni di annientamento dell’identità storica, sociale e culturale di un luogo, del cosiddetto genius loci, che proprio a Berlino trovano la più malsana delle sublimazioni.

Passeggiare per Berlino oggi ha la stessa poesia di girare per un centro commerciale. È città che ha la stessa anima di un supermercato.

Da Prenzlauerberg (nell’ex Berlino est, oggi “Parioli” di Berlino, che trasuda riccastri), a nord, fino a Kreutzberg (una volta quartiere turco, oggi pieno di fannulloni benestanti, specie italiani) a sud, passando per Mitte (il centro), ha avuto luogo un autentico genocidio culturale. L’effimero, la vanità, la frivolezza, la concezione spicciola e superficiale della vita è stata imposta in una città che nel secolo scorso non solo ha visto dolore, sangue, morti, ma è stata l’epicentro di alcune delle peggiori atrocità della storia, avvenute durante la seconda guerra mondiale. Si tratta chiaramente di un tentativo di dimenticare il passato, di un turpe maquillage che vuole obliterare ogni forma di ricordo. Si vuole forse scappare dai propri “peccati” coprendo il tutto, a mo’ di vernice, con una mano di banalità? Nei fatti si è costruito un pecoreccio lunapark su un cimitero.

Berlino, cesso d'Europa
Tipico WC del nord Europa, grazie al quale dopo aver evacuato l’intestino si può ammirare quanto escreto. Si tratta di una meravigliosa metafora nella metafora: 1) sia di cosa è oggi Berlino, un cesso con i lustrini colorati atto solo a raccogliere e contenere feci; 2) sia di come le cosiddette “archistar” (specie coloro che hanno operato ed operano a Berlino) producono i loro progetti… una volta si usava il tecnigrafo, poi sono passati all’Apple (il PC dei fighetti), ma il “principio creativo” rimane lo stesso: si “produce” (si defeca), ci si alza dal water e si guarda il risultato, si dice “Ah, quanto sono bravo!!! Sono un grande artista!!!” e lo si fa realizzare in qualche città. L’ideale è quando il contenitore (un palazzo, una città) è pensato su misura per il contenuto (suum cuique).

Il problema della capitale tedesca travalica però la speculazione edilizia e la cacciata dei vecchi residenti per far largo ai riccastri radical-chic. Là, festanti ed infestanti, vi sono confluite genti senza identità, senza personalità, che non hanno forza e capacità di affermare nei Paesi di provenienza una propria (presunta) diversità rispetto alle stereotipate abitudini imposte dalla società meccanicistica occidentale del produci&consuma. A Berlino tuttavia finiscono solo per consumare. Rompono forse il diktat del capitalismo, per tentare di reimporre però quello dell’aristocrazia (come si reputano) parassitaria.

Parliamo quindi di persone che nelle loro patrie forse si sono sentite oppresse, ma invece di lottare per una società diversa, di poter contribuire ad un generalizzato miglioramento delle loro città, scappano a Berlino, dove è stato creato il mito della libertà (quella capitalistica? Ricordate i cittadini di Belino Est che alla caduta del muro compravano le banane?). Perché? Perché parliamo di persone aride, che non hanno nulla da offrire all’umanità! Usando una figura retorica potremmo dire che si tratta di coloro che non vedono alcuna differenza tra un rapporto sentimentale ed andare in un bordello. Probabilmente perché neanche capiscono cosa sia una relazione sentimentale. Persone spiritualmente vuote, dalla intelligenza emozionale inesistente e dall’assoluta mancanza di valori che si buttano nel flusso del nulla spinto e nella bambagia della vacuità condivisa: sono (o si sentono) tutti artisti, tutti intellettuali, tutti musicisti, tutti poeti, tutti architetti, tutti attori di teatro, tutti accademici, tutti designer. In genere sono solo cancri sociali! Solo gente che in ogni società sana fa “da contorno”, perché vive sulle spalle di chi produce ricchezza. Funzionali in un contesto ampio, ma non dove sono la maggioranza o peggio la totalità! Veri parassiti, economici e soprattutto antropologici!

Non so quanto sia evidente, ma con la Berlino post 1989 (dopo la caduta del muro) si è implicitamente realizzato quanto magistralmente descritto dal geniale Fritz Lang nel 1927 nel suo meraviglioso Metropolis. Nella versione completa di 150 minuti, recentemente riassemblata, le scene della godereccia e avida “città superiore” di Metropolis ricordano in maniera agghiacciante l’attuale Berlino, sia nelle nefandezze costruite dalle archistars (o da vari architetti in genere) sia nella frivolezza della popolazione, che nel film sfrutta la “gente di sotto”, ridotta in schiavitù.

Metropolis_Berlino

Non è quindi credibile che Berlino sia piena di architetti solo per le grandi opportunità economiche che il radere al suolo una città può offrire. Perché a Berlino gli architetti hanno avuto la occasione che da sempre perseguono: annientare le identità delle città per imporre il proprio ipertrofico ego, nel processo di globalizzata ed omologante grettezza dei progetti copia&incolla…

Tale fenomeno per certi versi riconduce a quanto esposto nel documentario “As operações SAAL” di João Dias (2007), che descrive la storia dell’orribile condominio per residenza popolare del “da Bouça” (Oporto, Portogallo), disegnato dal “santone” Álvaro Siza Vieira. Progettato come quartiere per gli indigenti dell’area, alla sua ultimazione venne invece messo in vendita, seppur a prezzi calmierati (15-16.000.000 escudos, circa €80.000) ad appartamento. Come da aspettarsi, quasi solo giovani architetti fecero a gara per acquistarli, affascinati dall’idea di andare a vivere in un appartamento progettato dal loro Maestro e Mito Álvaro Siza Vieira, mentre la gente normale (non indottrinata ideologicamente) se ne tenne alla larga, dimostrando per l’ennesima volta che le opere degli architetti sono legittimate ed apprezzate solo da altri architetti, come se si trattasse di una setta.

Berlino oggi è uno standardizzato baraccone del consumismo, sia per ciò che riguarda il mercato immobiliare, sia culinario, sia della “cultura” da supermercato. È un fast food per i coatti del “io non sono come gli altri, vivo a Berlino!”, che si ritrovano tutti assieme, tutti uguali, a centinaia di migliaia, a far finta di essere “diversi” ed “alternativi”… A questi si devono aggiungere i turisti “culturali”, ossia quelli che vogliono vedere coi propri occhi tale meraviglia! Si tratta anche dei forzati delle discoteche, visto che Berlino è considerata la capitale della musica elettronica, quella che – a quanto pare – si gusta meglio con l’ausilio di eccitanti chimici. Insomma è il trionfo della superficialità, della banalità e del cliché. Quest’ultima grettezza del turismo da anfetamina a mio vedere non si contrappone a quella appena descritta, quella dei fichetti arricchiti, dei figli di genitori benestanti, o dei presunti bohémien, ma ne rappresenta il naturale sviluppo e completamento.

Berlino è perciò luogo che si presta al becero anticonformismo obbligatorio, dove in realtà avviene una diversa uniformazione, una non meno squallida massificazione del pensiero rispetto a quella dalla quale ci si illude di fuggire, per arrendersi beotamente e supinamente inerti ad un altro tipo di indottrinamento, questo strisciante e subdolo, che non trova alcuna resistenza nel riempire menti totalmente vuote.

Berlino impone il pensiero unico, l’omologazione verso quello che si vende come innovativo ed alternativo. Spacciandosi per città liberale, svilisce invece il senso di unicità delle persone, divenendo l’epicentro per l’annientamento dell’individualità. Berlino è alla moda, e sappiamo cosa è la moda in statistica: l’elemento di una distribuzione quantitativamente più presente. Bisogna però ricordare gli effetti della moda (intesa come “gusto” indotto dall’alto) nella società. Berlino oggi ha la stessa funzione che ebbe MTV: diffondere la musica, offrire a chiunque canzoni pre-masticate che tutti potessero ben digerire, ma nella pratica ha annientato il rock per renderlo mero strumento commerciale! La ribellione trasformata in gadget e lauti conti in banca! Ha trionfato Madonna, belloccia stonata ma cinicamente arrivista (non una artista, ma un mignottone), mentre Frank Zappa (tra i più grandi della storia della musica) doveva pubblicarsi i dischi da solo. Parimenti, sono stati cacciati via da Berlino i punk ed è stato fatto largo ai radical-chic! Berlino è come il clown di IT di Stephen King: la goliardica faccia, ma in realtà annienta l’uomo e la sua dignità!

Se Sorrentino ha realizzato il film “la grande bellezza” sulla città di Roma, a Berlino dalla caduta del muro si è costruita “la grande grettezza”: superficialità e corruzione morale fanno da filo conduttore tra le due “opere”. Berlino è la città del “nulla” che alberga in molte menti di persone agiate, il luogo della cultura dell’effimero, della vita superficiale e squallidamente decadente che conduce un certo tipo di gente benestante ed annoiata, a cominciare dagli odiosissimi radical-chic, tutti pseudo-artisti e pseudo-intellettuali che con tracotanza impongono la loro cultura, lingua e morale.

Per chiudere, Berlino oggi è come una donna (ma anche un uomo, se si vuole), non bella ma che sembrava potenzialmente interessante, che si è sottoposta a decine di interventi di chirurgia plastica, ed ha oggi un corpo completamente ricostruito, palesemente ed anche sgraziatamente artificiale. Diventando un copia di tante altre donne sintetiche quanto insignificanti, perché tutte uguali. Ciò che più conta però non è che abbia un corpo di silicone, quanto che ella dia priorità alla propria esteriorità, per plasmarla secondo dei canoni massificati, volgari, grossolani, ed estremamente superficiali, mostrando di non aver nulla a livello interiore. Colma questo vuoto con l’uniformarsi a standard “commerciali”, del “tanto al chilo”: una sesta misura di seno equivale ad un obbrobrio di qualche archistar. Tutto è sintetico, tutto è falso. Il corpo è però solo una manifestazione, una espressione di volontà, in quanto quella che veramente è di plastica è l’anima. È la civiltà dell’immagine, dell’apparire, che prevale su quella del reale e dell’essere (Erich Fromm requiescat in pacem). Parimenti là le persone non autoctone hanno un animo di plastica. Perché è nella superficialità di Berlino che rispecchiano il proprio niente interiore. Berlino è l’amore da bordello. La cultura della città è pur sempre una manifestazione di quella umana, e gli anni della rimozione delle vere identità delle due Berlino hanno imposto che queste venissero sostituite dal NULLA e dal consumismo più beceramente squallido.

Berlino è diventata un recinto per figli di papà e per i radical-chic. Questa per chi se ne tiene alla larga è una grande notizia, perché così si sa dove NON andare. Poi molti radical-chic italiani si sono trasferiti a Berlino… molta feccia ce la siamo tolta dalle scatole!

Chiudo con una provocazione: cosa è peggio di una fogna, il contenuto o il contenitore?

Per approfondimenti, leggere:

http://www.ilcovile.it/scritti/COVILE_815_Orse%20cani%20e%20Berlino.pdf#4

 

ed anche vedere:

1 commento su “Berlino, fogna d’Europa”

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