Esco un’ altra volta dai temi “mainstream” e mi prendo il tempo di un altro post introspettivo e riflessivo, al solito chi vuol leggere legga, chi no faccia il cazzo che gli pare, e che ve lo devo dire io ?
Leggevo ieri un articolo di Liza, che mi ha fatto pensare un po’. Poi ho ritenuto di rispondere, dando un contributo non richiesto che poi è stato comunque gradito, quindi proseguo il ragionamento qui, magari può far piacere leggerlo, sicuramente a me fa bene scriverlo.
L’ideale sarebbe leggere prima tutto il post originale ed i suoi commenti, però cerco di riassumere brevemente il tema: già il titolo dice molto, io l’ho letto come la manifestazione della stanchezza mentale e fisica (maggiormente mentale) che si prova quando si è oberati dai cazzi della vita oltre il livello umanamente accettabile. Si tratti di famiglia, di lavoro, di amicizie, di tutto insieme, magari in un periodo anche non particolarmente felice e sereno, si sperimenta quella cosa che dà la sensazione di non farcela più. Insomma, ci si rompono i coglioni.
Ovviamente tutto è relativo, c’è chi si stressa con poco, chi ha la pazienza di Giobbe, chi ha la forza di un leone, chi molla ancor prima di cominciare… il mondo è vario. La cosa certa è che vuoi o non vuoi prima o poi tocca a tutti.
Io di “botte” ne ho avute diverse, ho retto finchè ho potuto, poi ad un certo punto mi sono dovuto fermare. E riflettere. Ho riflettuto talmente tanto che alla fine la gente credeva che fossi diventato catatonico, ma stavo solo riflettendo. Sono giunto ad alcune conclusioni, che poi sono la base del consiglio che mi sono permesso di dare a Liza.
Che si condensa in tre semplici parole: Pensa A Te.
Troppo semplice ? Forse, ma ci avevate pensato ?
A mio (s)vantaggio c’è da dire che personalmente parto con una marcia in più in questo senso: sono figlio unico, ho passato i primi 15 anni della mia vita (quelli decisivi ai fini della formazione del carattere) ad essere continuamente spostato da una città all’ altra, da una casa all’ altra, da una scuola all’ altra, senza mai mettere “radici” solide e senza un vero concetto di “famiglia” se non limitatamente ai miei genitori: se non avessi imparato in fretta a pensare a me e a vedermela da solo non ne sarei uscito bene. Il mio è un mondo egocentrico da sempre, non necessariamente egoista (anzi), ma egocentrico si.
Tutto questo per dire che, quando ad un dato momento mi sono trovato ad essere sopraffatto dagli impegni, dagli impicci, dalle rogne, al punto di avere l’impressione di reggere il mondo sulle mie spalle (solo un’ impressione, il mondo si regge benissimo da solo)… ho concluso che era arrivato il tempo di pensare a me. Ho realizzato che nel tempo e senza quasi accorgermene mi ero fatto carico – al punto di considerarli miei – dei problemi di chiunque mi fosse vicino. Sia di chi dipendeva effettivamente da me (almeno in parte) sia di chi semplicemente mi stava a cuore per qualsiasi motivo.
E allora uno può avere il cuore più grande del mondo (e non è nemmeno il mio caso), ma quando sommi questo a quello e a quell’ altro ancora, il rischio è di non farcela. Quindi diventa necessario selezionare.
Cominciare ad esempio a capire quanto sia veramente necessario accollarsi i problemi altrui, e fino a che punto: perchè c’è per ogni cosa un punto oltre il quale il nostro aiuto (richiesto o meno che sia) diventa deleterio. Anche chi è in perfetta buona fede, per abitudine tende ad approfittarsi dell’ aiuto. Anche senza saperlo, e senza saperlo contribuisce al nostro sovraccarico emotivo. Quando poi si arriva alla fine delle risorse, più persone stiamo “aiutando” più persone finiranno nella merda insieme a noi. La vecchia storia per cui se vuoi davvero aiutare qualcuno che ha fame non devi portargli il pesce tutti i giorni, ma devi insegnargli a pescare.
Adesso non dico che uno debba tutto ad un tratto voltare le spalle ad amici e parenti, però iniziare un distacco dolce e progressivo dei vari cordoni ombelicali intessuti nel tempo è una buona idea. Bisogna (quando si rende necessario) attivare un po’ di quello che chiamo “sano egoismo” e cominciare a pensare ai cazzi propri, intesi come propri personali: se nei cazzi propri ci rimettiamo dentro tutto, è inutile.
Bisogna anche ricordare che se è vero che qualcuno dipende da noi, nel momento in cui facciamo il “botto” non avrà più appoggio. Quindi non dobbiamo arrivarci, a fare il botto.
Inoltre (lo ribadisco qua, non mi riferisco alla “decrescita felice“), è utile anche rivedere un momento i nostri obiettivi: se la sensazione è quella di “non farcela“, di non “arrivare mai“, siamo sicuri che non stiamo chiedendo un po’ troppo a noi stessi ? L’ idea è “scegliti le battaglie che sai di poter vincere“.
Esempio stupido: abbiamo tutti bisogno di un’ auto per muoverci e a tutti piacerebbe andare in giro con un bel gingillo nuovo da 30k euri: oggi come oggi – con tutti i finanziamenti, i noleggi e le formule che si sono inventati – più o meno tutti potremmo farlo. Non è più come una volta, che l’operaio girava con la 500, il macellaio con la Mercedes, il commendatore la Fiat 130 e l’ imprenditore di successo con la Maserati… quindi è facile che oggi l’operaio vada in Mercedes. Come è facile che lo stesso operaio abbia l’iPhone 13, il televisore da 55″ e vada in vacanza alle Baleari. Ma poi succede quella cosa che succede sempre più spesso: a fine mese lo stipendio arriva sul conto ed immediatamente si frantuma in mille rate. A questo punto l’operaio comincerà ad avere quella sensazione di “non farcela” (e voglio ben credere).
Ma se invece si fosse limitato a far fronte alla sua esigenza di mobilità, avesse speso 4/5000 euro per una macchina usata “onesta” e non si fosse indebitato fino alle orecchie ? Girare giri lo stesso, e magari ti avanzano i soldi per andare a mangiare al ristorante e stare più tranquillo.
Ma sto – come al solito – divagando. Quest’ ultima parte, anche se pertinente, fa più capo ad un altro discorso che già più di 10 anni orsono avevo lanciato qua. Roba vecchia. Torniamo a noi…
Pensa A Te, questo è il punto. Per me ha funzionato, ed ha funzionato anche per quelle poche persone a cui l’ho consigliato e che sono riuscite a farlo. Perchè sembra facile, ovvio e scontato, ma non lo è. Però si può fare.
vedi cavo, anzi cavissimo…fva non molto dovvò pvendeve un’avdua decisione.
In parole molto povere o faccio una scelta erga omnes oppure intasco tanta pecunia e mi faccio i cassi miei.
Si è uomini adulti quando ti prendi carico delle cose perché sai che è giusto farlo.Faccio un esempio. Mio padre il 90% delle persone lo avrebbe messo in un ospizio, anche i miei fratelli, io no ed è rimasto a casa fino alla fine. Sono stati anni difficili. Ma sono felice di averlo fatto.
Cazz che post!
Grazie… 😊
Zip: io, così a occhio, opterei per la seconda.
Allegro: è la prima volta che un tuo commento va oltre la canonica riga singola. Ciò mi onora. 😉
Poi, è esattamente quello che intendo quando parlo di “selezionare”: posto che le nostre energie sono “finite” (nel senso di limitate), ritengo quanto meno opportuno riservarle per le sole opportunità veramente necessarie. Il problema è che le energie (come per lo stipendio dell’ operaio di cui al post) tendono a disperdersi nel tempo in mille e mille rivoletti di cui si perde traccia. E noi non ce ne accorgiamo perchè questo non accade tutto insieme. Ci ritroviamo solo ad un certo punto ad essere “esauriti”, senza sapere perchè. E’ lì che deve scattare la riflessione, del tipo: “ma è vero che tutto quello che sto facendo è veramente importante” ? E vai di scrematura. Per attenermi al tuo (ammirevole) esempio, posso osservare che c’è gente (casi reali, di cui ho contezza) che tiene il vecchio genitore in casa di cura e contestualmente dà retta ad “amici” con le crisi esistenziali e magari va pure a fare volontariato con la parrocchia e se non bastasse adotta un cane. Ecco. Questa gente non ha fatto la selezione. Sta disperdendo la sua pazienza e le sue energie in mille cose a bassa (se non nulla) priorità. E il genitore, che priorità ne avrebbe, ne paga le conseguenze. Posto che ognuno fa il cazzo che gli pare, trovo disdicevole perdere tempo con degli scoppiati che potrebbero benissimo vedersela da soli e non dar retta a chi ti ha messo al mondo. Più o meno come spendere mezzo stipendio con la rata del SUV e non potersi permettere cose molto più importanti. Il tutto inconsapevolmente.
Liza: e di che, è il “tuo” post, grazie a te !
Fufù delinquenti 😛
…non ci credo, davvero !! Ciò che descrivi nel paragrafo ” A mio (s)vantaggio c’è da dire…….., ma egocentrico si.” è un copia incolla della mia crescita dell epoca, con la differenza che il mio ambiente era artistico, quindi di matti per il teatro, musica , pittura etc. , e che a 12 anni sono finito in nord america; quindi la “formattazione.it” è stata interrotta… ( per mia fortuna)
Qui è d’obbligo ricordare l’importanza degli anziani: non importa l’epoca… Impara l’arte e mettila da parte, chi fa per se fa per tre etc etc. etc. Ragazzi, spegnete la tv…
P.S. Alberto, io quando ti leggo ti sento… come al telefono . Mi è rimasto impresso il tuo timbro di voce che a mio modesto parere è alla pari se non superiore alle narrazioni di alcuni documentari seri … Hai mai pensato di trarrne beneficio , in questo caso, economico ? Guarda che non scherzo riguardo al tipo di voce che possiedi….
…ma io lo so che qualcosa ci unisce, Lez… Quanto all’ uso della voce, grandi sbocchi non ne vedo. L’ unica possibilità sarebbe il doppiaggio, ma servono altre doti oltre al timbro, doti che ahimè non ho. Un doppiatore deve essere prima di tutto attore e io riesco a fare tante cose, ma recitare no. Ci ho provato, ma non è venuta bene. Conoscevo Claudio Capone (la voce narrante di quasi tutti i documentari di Quark fino a che è vissuto), anche lui mi disse la stessa cosa, ma bastò un provino in studio per scoraggiarmi. In compenso mi “regalò” la sua voce per il messaggio della segreteria telefonica di casa, facevo un figurone con chi chiamava !