PERCHE’ NON LEGGO MAI “FRA LE RIGHE” (E MANCO CI SCRIVO).

Per quanto la tecnologia abbia fatto passi da gigante e per quanto gli attuali dispositivi abbiano raggiunto capacità di calcolo incredibili unite a quantità di memoria iperboliche ed impensabili fino a pochi anni fa, resto convinto che la flessibilità, la memoria e la velocità di interconnessione del dispositivo chiamato “mente umana“, anche quelle del suo più scarso sottoprodotto, rimangano impareggiabili. Almeno a livello potenziale (poi che non le usiamo tutte è un’ altra storia).

Ma anche la mente umana è limitata. In alcuni casi di più, in altri meno, però ha i suoi limiti, ciò è indiscutibile.

Dato che la mia – nel caso particolare – più di tanto non “regge”, ho scelto da tempo di limitare gli sprechi. Quando qualcuno mi dice cose tipo: “credevo fosse sottointeso“, “pensavo avessi capito“, “però l’ altra volta avevamo fatto così“, mi girano le palle. No, non era sottointeso, non pensare di poter pensare quello che capisco io, l’altra volta era l’altra volta, oggi è oggi.

Non sopporto nemmeno i “si usa così“, gli “è prassi comune” e compagnia bella.

Per creare un “codice di comunicazione” funzionante fra due esseri umani, che permetta l’uso di lessici particolari o l’ accettabilità di prassi, convenzioni e sottintesi sono necessari anni, se non decenni: tempo in cui i due esseri in questione devono aver condiviso esperienze, vita, ambiente e “aria”. Fanno eccezione i casi di affinità elettiva, i cosiddetti “separati alla nascita”, ma sono casi più unici che rari.

Per tutto il resto ci è stato dato il magnifico dono della parola e dobbiamo saperlo usare: in entrata come in uscita. Saper ascoltare e saper parlare (o leggere e scrivere, alternativamente), non solo farlo, ma farlo bene. Il tutto con la dovuta educazione, naturalmente.

Faccio un esempio sciocco:

Esco dal lavoro alle otto di sera, faccio per mettere in moto la macchina e quella maledetta non parte. Morta. Niente batteria. Sti cazzi, domani sistemiamo, ma per ora…

Se so che mia moglie è a casa (primo presupposto, io SO che oggi alle otto salvo imprevisti è a casa, fosse stato ieri no, perchè SAPEVO che faceva altro orario), la chiamo e le chiedo: “Per favore, mi passi a prendere che sto a piedi” ? Lei SA dove mi trovo, non serve altro: il codice di comunicazione costruito nel tempo ed i presupposti non richiedono altre informazioni. Missione compiuta.

Se invece mi devo rivolgere ad qualcun altro, servono altri dati:

Per esempio chiamo un taxi. “Buonasera, mi servirebbe per favore una macchina in Via del Piripacchio, civico ventitrè e mezzo barra C. E’ possibile?Certo, signore, Airone 21 in quattro minuti“. Poi arriva Airone 21 (magari in cinque minuti) e anche qui altri dati: “buonasera, caro Airone 21 mi porta per favore in Vicolo del Picchio Verde civico quarantatrè ? Grazie. No, non mi va di parlare di politica, non ho votato Gualtieri, non me ne frega un cazzo dei cinghiali e manco dello scudetto del Milan. Ecco siamo arrivati, grazie. Quant’è ? Mortacci tua, vabbè. Grazie, buona serata (la prossima volta chiamo un Uber)”.

Sento cosa state pensando: “grazie al cazzo”. OK, ma la cosa non è così evidente: pensiamo ad esempio a tutte le volte che c’è stato un “fraintendimento”, una discussione, anche una lite… beh, nella stragrande maggioranza dei casi è successo perchè non si è parlato chiaro, perchè si è pensato di “leggere fra le righe”, perchè abbiamo parlato con il tassista come se stessimo parlando con nostra moglie (o con nostro marito) e viceversa. E questa cosa accade molto più frequentemente di quanto non si creda.

Parlare chiaro (ed ascoltare bene, e se qualcosa non è chiaro chiedere chiarimenti) è la base di ogni rapporto umano di successo: sia che debba durare il tempo di una corsa in taxi, sia che debba durare una vita o solo il tempo di un lavoro. Mai “presumere”, sempre “accertare“. Mai “lasciar intendere”, sempre “dichiarare“. Può sembrare faticoso e ridondante, ma alla fine fa risparmiare tempo e risorse. In altre parole, funziona.

Se una persona ci sta antipatica e non desideriamo che ci importuni, è inutile confidare nel fatto che lo capirà da sola ed accettarne la presenza e le ingerenze per falsa educazione, mandando messaggi trasversali che puntualmente non coglierà (perchè non vuole coglierli): ce la troveremo inevitabilmente “accollata”, e sarà molto più difficile e dispendioso (in termini di tempo ed energie che come ho detto sono limitati) levarcela di torno. Molto meglio parlar chiaro da subito: “mi stai sul cazzo, non ho piacere di interfacciarmi con te, ciao“.

Come diceva il buon vecchio Mario Magnotta: “Oooh, a parlà chiaro se và“.

Si, a volte si passa per arroganti (e “stronzi”, cfr. post precedente), però credetemi (se volete), si risparmiano tanti problemi successivi.

(questo post è stato provvidamente ispirato dalla lettura di questo altro articolo di KikkaKonekka, che qui ringrazio).

5 pensieri riguardo “PERCHE’ NON LEGGO MAI “FRA LE RIGHE” (E MANCO CI SCRIVO).”

  1. In questi casi, per me oramai maggioritari, mi limito a rispondere a monosillabi (si o no). O con un laconico : non sono informato. Anche nel caso in cui abbia letto decine di libri sull’argomento.
    Poi la posizione del corpo è indicativa: rivolgere la spalla verso l’esterno, in modo da frapporla fra il proprio volto e quello dell’aspirante interlocutore, crea una barriera comunicativa quasi invalicabile.

  2. Direi che sopratutto nelle comunicazioni uomo-donna (magari tra partner) c’è un mucchio di non detto sommerso, il quale delle volte si deve evincere da altri fatti, altre volte semplicemente le persone si vergognano a farsi vedere per la miseria che rappresentano.

  3. Io parlo poco, sono conciso nell’esprimermi e nel pensare, non amo nemmeno io i “tra le righe”.
    Io non leggo nel pensiero: se uno mi vuole dire o far capire una cosa, lo faccia in modo chiaro e diretto.

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