SHOWBIZ !

Questo post è liberamente ispirato (in ordine cronologico) da quello di Coulelavie e da quello di Raffa, nonchè dai rispettivi commenti.

Al di là del caso specifico (Raffaella Carrà) sul quale mi sono già espresso con il mio amore incondizionato per la Signora in questione, vorrei soffermarmi un attimo su quello che è (come da titolo) lo “show business” oggi ma soprattutto su quello che era allora (parliamo di anni ’60) con tutti i passaggi intermedi. Beh, proprio tutti tutti no, ma facciamo il possibile.

Partiamo dal presupposto che lo spettacolo è una brutta bestia.

Ripeto per la quarta volta a questo fine una citazione a me cara del compianto Tomas Milian: “Per fare il pagliaccio (in senso lato, aggiungo… pagliaccio è chiunque si metta in mostra a favore del Pubblico) ci vuole un cuore così e due coglioni così“.

Per “vivere d’arte” (come potrà confermarvi ogni artista degno di tal nome) è necessario fare sacrifici immensi, inimmaginabili dalla gran parte delle persone. L’ Artista non è “protetto” da nulla, non esiste sindacato (per quanto i sindacati non servano a un cazzo), non esiste SIAE, non esiste un cazzo di nulla che gli dia una qualche certezza. Ci sono artisti che schiattano prima di vedere i frutti del loro lavoro, ci sono artisti che schiattano proprio a causa dei frutti del loro lavoro. Non ce lo dobbiamo dimenticare mai.

L’ Artista vive “per” il Pubblico e vive “grazie” al Pubblico. Questo non è cambiato mai, dalle origini ad oggi. Quello che è cambiato è l’accesso al Pubblico. Oggi è sicuramente più facile raggiungerlo: ci sono innumerevoli casi di Artisti che sono riusciti a farsi conoscere grazie alla Rete (influencers, youtubers, tiktokers e via così), e questo secondo me è un bene, perchè li svincola dalle dinamiche incartapecorite che vigevano prima dell’ avvento di Internet.

Ciò non toglie che oggi come allora, se piaci vai avanti, se non vali un cazzo sparisci nel giro di un anno.

Ma mi sto incartando (scusate, è tardi e fa caldo, e ho avuto una mattinata faticosa).

Lasciamo perdere il presente, torniamo un attimo agli anni 60. Allora, i modi per “farsi conoscere” dal Pubblico erano davvero pochi: per i musicisti c’erano i festival (da Castrocaro a Sanremo), per gli attori c’ erano i teatri (da quelli parrocchiali in su), per i cabarettisti c’ erano le rampe di lancio locali, per i pittori le mostre e via così. Il traguardo anelato da molti era la TV, ma allora c’ era solo la RAI, e le porte a cui bussare erano veramente poche.

OK. L’ avrete notato dagli intoppi nella scrittura, dalla mancanza di formattazione, da una certa incoerenza.

Ho chiesto troppo a me stesso, oggi “nun ce la posso fà”.

Mi sono scelto un argomento troppo complesso per il lunedì, e sono troppo coinvolto personalmente dal tema per argomentare sensatamente in merito in questo momento. Forse per la prima volta in più di dieci anni lascio un post a metà, ripromettendomi (e per me lo sapete ogni promessa è debito) di tornarci su come si deve.

Concludendo per oggi, arte e spettacolo sono mondi a parte, nel giudizio dei quali non possono applicarsi i canoni ordinari (quelli ai quali siamo tutti – io per primo – abituati). Personalmente ritengo che dare della mignotta alla Carrà sia non un errore in assoluto, ma una omissione di necessaria contestualizzazione.

Se non “contestualizziamo” (termine abusato, lo so), siamo tutti mignotte. Anche io.

Avevo un gatto nero

Tanto tempo fa avevo un gatto nero.
Un meraviglioso gatto nero, ricco di tutto il mistero che deve portarsi dentro un gatto nero.
Talmente ricco di mistero che non mi confidò mai il suo nome.
Così io lo chiamai semplicemente Micionero.
Micionero aveva più carisma di un asceta terreno.
Guardava la terra e gli umani come se sapesse già tutto del mondo e di qualunque umano avesse davanti.
La terra lo amava, gli umani lo temevano. Alcuni lo rispettavano pur temendolo, qualcuno lo ammirava, tanti lo detestavano perché sapevano che lui sapeva. Tutto, di loro. I loro peccati soprattutto. Erano talmente spaventati dalla sua presenza che non osavano passare quando era seduto in meditazione. Lui ignorava tutti, camminava senza disturbare, eppure turbava.
Con me si comportava come un angelo custode, mi proteggeva silenzioso. Quando avvertiva rumori inconsueti, o estranei al nostro vivere, si poneva subito in guardia come un cane addestrato e finché non sentiva passare l’eventuale pericolo rimaneva di vedetta pronto a difendere casa e famiglia. Casa e famiglia che lui aveva scelto per starsene in pace a meditare.
Purtroppo come tutti i gatti neri, e non soltanto loro, aveva una grande nemica: l’ignoranza.
L’ignoranza fece sì che più volte qualcuno attentasse alla sua vita senza centrare l’obiettivo. Il cappio di ramino messo alla finestra della cantina dove lui era solito passare, rimase inutilmente esposto finché il suo ideatore non si ferì una mano scoprendosi da solo.
Il veleno messo nei bocconi offerti a lui rischiarono di ammazzare il cane del vicino giunto appena in tempo a bloccare l’animale che li stava ingoiando golosamente.
I segni delle bastonate prese di striscio mentre fuggiva da un baldo cacciatore che abitava nei paraggi, mi fecero capire che Micionero era in serio pericolo, ma quando glielo dissi lui rispose a modo suo che nessuno sfugge al proprio destino.
Micionero era una creatura veramente speciale, e come tutte le creature speciali non voleva lasciare tracce di sé. Infatti non riuscii mai a impressionare una pellicola con la sua immagine, di lui non esistono fotografie.
Un giorno di gennaio Micionero sparì. Lo cercammo per un po’ di tempo, soprattutto nei luoghi dove i suoi nemici mettevano le trappole per farlo fuori, ma lui sembrava dissolto nel nulla. Rassegnati pensammo che avesse deciso di cambiare casa, o territorio, per portare a termine qualche missione particolare.
Intanto cominciava a nevicare, ne venne tanta quell’anno e un gatto nero non sarebbe passato inosservato nei campi intorno casa nostra.
Dopo tre settimane, di neve e gelo, un ragazzo venne a chiamarci dicendo che in un fosso sulla strada che portava fuori dal paese c’era una cane nero che somigliava al nostro gatto.
Col cuore in gola andammo di corsa nel luogo indicato.
Trovammo Micionero. Così, rigido come un baccalà lungo e disteso, sembrava grosso come un cane.
Era morto, aveva un buco nella pancia. Un buco fatto con un’arma da fuoco, probabilmente un fucile. Una fucilata sparata attraverso il sacco di iuta che lo teneva prigioniero.
Ecco che cosa era successo: qualcuno lo aveva preso, imprigionato dentro un sacco per portarlo lontano da casa e potergli sparare senza dargli la possibilità di fuggire né nuocere.
Bel coraggio eh…
Nonostante ciò lui riuscì a percorrere un po’ di strada per tornare da noi, infatti pareva proprio essersi trascinato per un bel pezzo con ancora addosso il sacco-mattatoio. Ma era troppo grande la ferita, così grande da fargli consumare tutte le vite rimanenti.
Io e il mio compagno lo prendemmo, rigido e ghiacciato com’era, e lo andammo a seppellire lungo il sentiero che porta al torrente dietro casa vicino alla fontanella delle rose.

FELICITA’.

La Felicità è oggettivamente un sentimento soggettivo.

Non solo ognuno è felice a modo suo, ma in aggiunta, per complicare un po’ le cose, ognuno può essere felice per cose diverse a seconda del momento, dell’ età, dello stato d’animo… non c’è limite, è un labirinto senza fine di scelte, di azioni e di conseguenze.

C’ era chi cantava “Happiness Is a Warm Gun”, poi c’è Lucy Van Pelt che parafrasando afferma: “Felicità è un Cucciolo Caldo”, c’è chi è felice per una vittoria sportiva, insomma ce n’è per tutti i gusti.

Se qualcuno se lo fosse chiesto, beh, io oggi – lunedi, giorno di “stanca” classico – apro il Blog, vedo altri post, altri commenti, vedo “vita” e sono felice.

Siamo riusciti (siete riusciti) a spezzare in qualche modo la ormai affermata “curva” di FugaDaPolis che vedeva il “crollo” delle visite nel fine settimana: credo che per la prima volta in quasi 10 anni siamo riusciti a smuoverlo più la domenica che il giovedì.

E questo mi rende felice. Spero duri. Per parte mia ho solo due piccole osservazioni:

  1. nonostante tutto, nei fine settimana io non riesco proprio a esserci, pertanto vi chiedo di perdonarmi ma nei festivi (o la notte, per gli insonni) resta tutto in mano a voi.
  2. (questo è superfluo, ma) Stare qui ovviamente deve essere un piacere. Il fatto di essere in tanti, e spero saremo sempre di più, è bello perchè assicura che ci sia sempre qualcosa di nuovo (ed è per quello che spesso basta un pensiero, due righe, non serve smazzarsi se no diventa un lavoro): per questo, se vi accorgete che trovarvi qua toglie tempo ai vostri Blog e ai vostri cazzi in generale non mi offenderò se “rallentate”. Quando iniziò FdP solo tre di noi avevano già un Blog, gli altri hanno cominciato tutti da qua: la situazione era diversa.

Grazie ancora, adesso mi vado a leggere tutto quello che non ho letto in questi due giorni !