AL VOSTRO SERVIZIO (ALTRO POST DI SERVIZIO).

Avevo “in canna” un articolo ponderoso, riguardo i referendumi, ma me lo tengo perchè oggi non è aria. Pubblicherò in tempo utile (o inutile), ma oggi mi tengo sul leggero.

Premetto solo che sono incazzato abbestia per la storia delle mascherine obbligatorie nel seggio elettorale, domenica è facile che mi arrestano. Devo stare molto calmo.

Ma torniamo a noi.

Questo post è un’ offerta: fra i vari rami dello scibile umano dei quali mi pregio di aver discreta (bando alle false modestie, non discreta ma “una cazzo di”) conoscenza, figurano l’ informatica e la lingua inglese. Quindi, se per caso o per avventura qualcuno fra voi dovesse aver bisogno di una mano in questi due campi, sono ufficialmente a disposizione.

Per “informatica” si intende dalla A alla Z, dall’ uso di Word (fa ridere, lo so) alle avventure nel “dark web”. Per l’inglese diciamo che sono bilingue, quindi il traduttore di Google me lo sgrulla (per usare un’ espressione fine).

Non sto parlando di scambio economico, sia chiaro: qui è tutto aggratis. A meno che non vi serva una traduzione giurata da 20 cartelle o un corso omnicomprensivo, in quel caso ci dobbiamo mettere d’accordo 😉

Tenete presente… io, finchè mi regge la pompa, sono qua. Tanto se le cose le sai ma non le usi, che cazzo le sai a fare ?

(adesso parlo “criptico”). Una cosa (in campo informatico) che ho scoperto da poco e che al volo voglio condividere (ma solo con chi sa cosa è un DNS, poi se necessario faccio lo “spiegone” per i profani) è questa: provate ad impostare manualmente i DNS della vostra connessione, si può fare anche se l’IP è assegnato da DHCP. Fino a poco fa usavo comunque (al posto di quelli di default del provider, passati da DHCP) quelli di Google (primario: 8.8.8.8, secondario 8.8.4.4). Ho impostato come primario quello di CloudFlare (1.1.1.1 , indirizzo meraviglioso fra l’altro, vorrei sapere come se lo sono fatto assegnare) lasciando come secondario il canonico 8.8.8.8

Beh, tempi di risoluzione sorprendenti. Provate un un ping a 1.1.1.1 e poi a 8.8.8.8 (che pure è veloce) e vedrete da voi. In più dicono (ma su questo non ci metto la mano sul fuoco, è una voce) che CloudFlare non tenga traccia delle richieste. Il che, nel caso, è ottimo.

L’urlo

Monologo teatrale scritto da Nadia Mogni

Volevo nascere “un animale”!
Magari un rospo che tenta di attraversare la strada senza farsi pestare, per arrivare dalla bella ed essere semplicemente baciato, senza trasformarsi in principe; forse una gatta dal pelo lucente, adorata da una padrona attraente, per formare una coppia irresistibile e seducente.
Magari un bradipo che SSS-corre lento le giornate arrancando da un ramo all’altro,
senza toccare mai terra per non perdere la propria dote di insetti opportunisti,
o essere proprio uno di quegli insetti opportunisti…
chissà che cosa pensano gli insetti opportunisti…
Chissà…

Non ricordo né dove, né quando, ma so che mi piacevano le aquile e i lupi in un’altra vita.
Forse sono stato uno di loro in quell’altra vita.
O forse no, adesso non lo so.
Non lo so ancora, o mai lo saprò?
Chissà…

E invece, adesso…
Adesso sto nascendo “un bambino”,
ma non so ancora che bambino sarò.
Sto uscendo dal ventre di mia madre che ancora non ho visto.
Lei urla di dolore, e spinge per liberarsi e liberarmi.
Io non faccio nulla, e non so che cosa farò.
Non so se sarò nero, bianco, giallo, o chissà quale altro colore.
Non so che sorte mi attende.
Non so se cadrò sulla sabbia di una savana avara di acqua e bollente di dolore.
Magari sarò accolto dalle braccia morbide di una Lady che mi accarezzerà un momento, e poi m’abbandonerà per sempre alle cure di una nurse premurosa per dovere imposto dalla causa materiale di guadagnarsi uno stipendio profumato di nobiltà.
Da umano dovrò affrontare una terra senza terra?
Un ghiaccio immenso di spazio?
Oppure l’asfalto puzzolente di una metropoli cenciosa, lussuosa, imperativa, fagocitante…
Chissà…

Ho ricordi nella mente,
tanti ricordi di vite trascorse,
o soltanto rincorse dentro corpi di chissà chi.
Chissà chi ero, chissà chi fui.
Un pastore,
tedesco o protestante.
Un pastore errante per tenere a bada un gregge di pecore.
O una pecora depredata del proprio vello, o il cane maestro conduttore di pecore.

Perché tutti questi ricordi, perché già conosco mezzo mondo?
Perché tutti questi perché, dentro i pochi secondi che mi separano dalla luce che intravvedo in fondo a questa galleria, che mi porterà via dal ventre liquido in cui ho nuotato beato per tanti mesi?
Quante vite ho avuto? Quante vite ho vissuto?
O no! Forse non le ho vissute. Le ho solo viste attraverso la mente di mia madre che mi ha portato in grembo sino ad ora.

Ma adesso ho paura, paura di sapere chi sarò.

Sarò UMANO! L’unica CERTEZZA che ho, ma so che NON volevo essere umano.
Piuttosto una pietra, un fiore, un riccio di mare.
Che destino mi toccherà, e che madre avrò?

E mio padre?
Chi sarà mio padre?
Un uomo premuroso, con me e con mia madre.
Oppure un essere abbietto che ci ha già abbandonati senza scrupoli né dubbi.
Magari mio padre non sa neppure che sto nascendo, forse non sa che mia madre aspettava un figlio da lui.
E io non avrò un padre come lo hanno gli animali per forza della natura o, se non lo hanno, è sempre per scelta della natura, mai per scelta personale.
Per questo volevo nasce animale.
Per questo adesso ho paura,
un’orrenda paura,
e non ho ancora deciso che cosa farò fuori da qui.
Fuori dal ventre di mia madre.
E devo deciderlo in questo istante.
Perché sto uscendo. Perché sto nascendo!
Devo decidere in questo istante se emettere quell’urlo oppure rimanere zitto.
Devo decidere se rispondere alla pacca sul culo che mi darà qualcuno per farmi respirare e ascoltare l’urlo liberatorio che mi donerà alla vita con somma soddisfazione degli astanti, o grande delusione dei presenti! Perché c’è la possibilità che taluno speri che io non respiri affatto, e vorrà liberarsi di me appena sarò bambino fatto.

Perciò ho paura ad emettere quell’urlo che mi dà alla vita.
Perciò ho paura di aprire questa vita.

Opera di Luigi Giulio

Dell’arrampicatore asociale

ah, che ingrato mestier è vivere
quante fregature e brutti scivoloni!
dispettosi spirti e divinità pestifere
s'adopran i patti rompendo coi leoni

rincalza la coperta a' tuoi stanchi pensieri
che se il frequentato binario avessi scelto
vuoto adesso non saresti più di ieri;
la via priva di tracce pare ambita molto

ma solo nei discorsi e nelle esortazioni
perch'è scomoda e davver troppo costosa
implicando l'interpretar e costruzioni
personali, sforzi di quadratura faticosa