Monologo teatrale scritto da Nadia Mogni
Volevo nascere “un animale”!
Magari un rospo che tenta di attraversare la strada senza farsi pestare, per arrivare dalla bella ed essere semplicemente baciato, senza trasformarsi in principe; forse una gatta dal pelo lucente, adorata da una padrona attraente, per formare una coppia irresistibile e seducente.
Magari un bradipo che SSS-corre lento le giornate arrancando da un ramo all’altro,
senza toccare mai terra per non perdere la propria dote di insetti opportunisti,
o essere proprio uno di quegli insetti opportunisti…
chissà che cosa pensano gli insetti opportunisti…
Chissà…
Non ricordo né dove, né quando, ma so che mi piacevano le aquile e i lupi in un’altra vita.
Forse sono stato uno di loro in quell’altra vita.
O forse no, adesso non lo so.
Non lo so ancora, o mai lo saprò?
Chissà…
E invece, adesso…
Adesso sto nascendo “un bambino”,
ma non so ancora che bambino sarò.
Sto uscendo dal ventre di mia madre che ancora non ho visto.
Lei urla di dolore, e spinge per liberarsi e liberarmi.
Io non faccio nulla, e non so che cosa farò.
Non so se sarò nero, bianco, giallo, o chissà quale altro colore.
Non so che sorte mi attende.
Non so se cadrò sulla sabbia di una savana avara di acqua e bollente di dolore.
Magari sarò accolto dalle braccia morbide di una Lady che mi accarezzerà un momento, e poi m’abbandonerà per sempre alle cure di una nurse premurosa per dovere imposto dalla causa materiale di guadagnarsi uno stipendio profumato di nobiltà.
Da umano dovrò affrontare una terra senza terra?
Un ghiaccio immenso di spazio?
Oppure l’asfalto puzzolente di una metropoli cenciosa, lussuosa, imperativa, fagocitante…
Chissà…
Ho ricordi nella mente,
tanti ricordi di vite trascorse,
o soltanto rincorse dentro corpi di chissà chi.
Chissà chi ero, chissà chi fui.
Un pastore,
tedesco o protestante.
Un pastore errante per tenere a bada un gregge di pecore.
O una pecora depredata del proprio vello, o il cane maestro conduttore di pecore.
Perché tutti questi ricordi, perché già conosco mezzo mondo?
Perché tutti questi perché, dentro i pochi secondi che mi separano dalla luce che intravvedo in fondo a questa galleria, che mi porterà via dal ventre liquido in cui ho nuotato beato per tanti mesi?
Quante vite ho avuto? Quante vite ho vissuto?
O no! Forse non le ho vissute. Le ho solo viste attraverso la mente di mia madre che mi ha portato in grembo sino ad ora.
Ma adesso ho paura, paura di sapere chi sarò.
Sarò UMANO! L’unica CERTEZZA che ho, ma so che NON volevo essere umano.
Piuttosto una pietra, un fiore, un riccio di mare.
Che destino mi toccherà, e che madre avrò?
E mio padre?
Chi sarà mio padre?
Un uomo premuroso, con me e con mia madre.
Oppure un essere abbietto che ci ha già abbandonati senza scrupoli né dubbi.
Magari mio padre non sa neppure che sto nascendo, forse non sa che mia madre aspettava un figlio da lui.
E io non avrò un padre come lo hanno gli animali per forza della natura o, se non lo hanno, è sempre per scelta della natura, mai per scelta personale.
Per questo volevo nasce animale.
Per questo adesso ho paura,
un’orrenda paura,
e non ho ancora deciso che cosa farò fuori da qui.
Fuori dal ventre di mia madre.
E devo deciderlo in questo istante.
Perché sto uscendo. Perché sto nascendo!
Devo decidere in questo istante se emettere quell’urlo oppure rimanere zitto.
Devo decidere se rispondere alla pacca sul culo che mi darà qualcuno per farmi respirare e ascoltare l’urlo liberatorio che mi donerà alla vita con somma soddisfazione degli astanti, o grande delusione dei presenti! Perché c’è la possibilità che taluno speri che io non respiri affatto, e vorrà liberarsi di me appena sarò bambino fatto.
Perciò ho paura ad emettere quell’urlo che mi dà alla vita.
Perciò ho paura di aprire questa vita.
Non so se la nascita sia un trauma per tutti gli esseri viventi.
Non so nemmeno se lo sia stato per me, perchè anche se ho una memoria formidabile (me lo dico da solo, ma è così) per le esperienze di vita, quella particolare occasione proprio non me la ricordo. Presumo di aver faticato davvero poco, dato che per “tirarmi fuori” mi dicono che abbiano aperto mia madre come un pollo (erano ancora i tempi del taglio verticale, povera lei) ma non ricordo.
So solo che se fossi stato in grado di ragionare e mi fosse passato per la mente appena un trentesimo di quanto scrivi in questo pezzo, probabilmente avrei tentato di strangolarmi.
Ti immagino a recitarlo sola, su un palco con le assi consumate, buio totale intorno, cono di luce su di te. Vedo la polvere che gira intorno. Se potessi, ti chiederei di non finire con un urlo, perchè credo che a quel punto scapperei a gambe levate.
So di avere scritto una cosa potente, che può anche ferire chi legge, però è una parte di me.
Questo è l’unico posto al mondo (a parte i posti “tuoi”, ovviamente) dove se vuoi puoi scrivere assolutamente il cazzo che vuoi. Nel tempo da queste parti sono volate le coltellate, ma ne siamo sempre usciti tutti più forti e con qualcosa in più.
Quindi ben vengano le “parti di te” come quelle di tutti noi.
E ci mancherebbe.
E se scappo urlando, il problema è mio, non tuo 😀
Tanto poi torno…
Già che sei qui, puoi dirmi come faccio per aggiungere una categoria al blog e delle immagini?
Per fortuna che quando ci tocca, non abbiamo questa consapevolezza, né possibilità di scelta. Se no sarebbe dura sul serio. Invece nasciamo felici, basta pensare alle risate contagiose dei neonati, proprio perché non sappiamo cosa ci aspetta.
😀
Qui tocco un argomento delicato.
Da uomo mi sono sempre chiesto quale sia il meccanismo che “resetta” la testa delle donne dopo ogni parto. So che è soggettivo e che per molte donne non è necessariamente un’ esperienza traumatica e dolorosa, ma ne conosco altrettante per le quali non solo il parto in se’ ma anche la gravidanza tutta sono stati un vero calvario. Nonostante ciò, non hanno esitato a fare il “bis”, o il “ter” o anche oltre.
Credo faccia parte del grande disegno che tiene ancora in vita la specie umana, ma per me è un mistero. Sono convinto da sempre che le donne abbiano una percezione ed una soglia del dolore fisico sensibilmente diversa da quelle degli uomini, ma questo è un mistero che non mi spiego.
Sì, confermo. Io non ho avuto figli, però sia il mio personale trainer sia i vari fisioterapisti che mi hanno curata dicono la mia soglia del dolore è altissima.
Scusa, Nadia, letto adesso… ero preso dal commento… 😉
La categoria la aggiungo io, dimmi solo come la vuoi chiamare e provvedo.
Per le immagini credo funzioni esattamente come sul tuo: quando sei nell’ editor dei post aggiungi un blocco “immagine” e poi carichi in galleria (o metti un link a immagine esistente) e hai fatto.
Peraltro in questo post l’immagine c’è, quindi l’ hai aggiunta con successo. Oppure ho capito male io ?
Sto qua… dieci minuti ancora mi trattengo.
Per l’immagine ho fatto cpia incolla dalle mie, però non riesco ad arrivarci dalla mia libreria.
Io ho varie categorie, però qui puoi aggiungere L’osservatorio di Evaporata, se vuoi.
OK, categoria aggiunta. Ovviamente ne possiamo fare a volontà, quindi vale per tutti: chi vuole la sua basta che lo dica e sistemo io.
Per le immagini, credo non si possa accedere da qua alle tue, quindi o le carichi fisicamente sulla libreria di questo blog quando serve oppure continui di copia e incolla ogni volta. Le librerie in ogni caso restano separate, quindi bisogna necessariamente duplicare, in un modo o nell’ altro.
Molto bello.
Grassie…
Non so che dire, questo pezzo è magnifico.
Il dolore del parto, ed il dolore di scoprire di essere uomo quando ci si rende conto che sarebbe stato meglio non esserlo.
Grazie, è stata una sofferenza anche scriverlo, perché sentivo quel bambino lì.