IL NATALE, SECONDO ME.

Da quel che leggo, sia qui che su altri nostri Blog – tra articoli e commenti, sembra che siamo (chi più chi meno) una allegra comitiva di piccoli “Grinch”. Questo fatto merita un approfondimento, farò quindi la mia parte.

Inizio con una sterile dissertazione sul significato del Natale, senza andare troppo a scavare nel passato e nelle analogie con altre feste pagane: trattasi di festività religiosa, propria della fede cristiano-cattolica, convenzionalmente fissata al giorno 25 del mese di dicembre. A tale data si fa infatti risalire la nascita del solo ed unico profeta ufficiale ed autorizzato con esclusiva sul merchandising di detta religione, tale Gesù di Nazareth, figlio di Dio e figlio “terreno” di Maria e Giuseppe. Dato che nella sua breve ma intensa vita Gesù ha fatto un lavoro da far impallidire qualsiasi altro rappresentante di ogni altra fede, è più che naturale che se ne santifichi con gioia e gratitudine ogni compleanno, da 2022 anni a questa parte ed oltre. Solo il fatto che in buona parte del mondo civilizzato si contino gli anni solari a partire da quello della sua nascita dovrebbe rendere l’idea della sua importanza. Col tempo, più che un solo giorno il Natale si è espanso ad un “periodo” di festeggiamenti, che vanno approssimativamente dalla fine di novembre (momento in cui ci cominciano a scassare il cazzo con le pubblicità dei panettoni e le musichette scampanellanti) fino al successivo 6 di gennaio, quando finalmente arriva la famosa “Epifania”, che tutte le feste si porta via. Sempre grazie all’ evoluzione (?) dei nostri costumi, è invalso l’ uso di scambiarsi regali (come se fosse un grande compleanno collettivo), di mangiare fino a schiattare, di addobbare case, alberi e strade con luci e decorazioni varie, di vestirsi in modo strano e di adorare altri “idoli” (fondamentalmente vecchi barboni un po’ sovrappeso e gnometti vari che in altri giorni cacceremmo a calci in culo e colpi di scopa dalle nostre case).

Insomma, diciamo che la gratitudine e la riflessione hanno lasciato il passo alla gioia e agli eccessi, ma vabbè, ci sta. Chi siamo noi per criticare ? Non starò qui a fare la solita storia del consumismo, dei valori perduti, della Coca Cola ed altre amenità. Sti cazzi. Se è andata così, vuol dire che doveva andare così. In fondo è un momento di felicità, deve essere un momento di felicità. Perchè rompere le palle ?

Questa era la parte generale, vado con le mie personali riflessioni.

Sostengo da sempre (più o meno da quando ho superato una certa età) che il Natale sia la festa dei bambini. A occhio fino intorno ai 10 anni o poco più. Statisticamente (salvo alcune sventurate minoranze) gli esseri umani in questa fascia di età sono gli unici a poter godere a pieno di tutti gli aspetti positivi di questa ricorrenza. E’ la festa di un bambino, uno come loro. Ricevono regali e dolciumi, sanno apprezzare l’ attesa, si incontrano e giocano con i loro simili (in genere cugini, anche lontani), hanno ancora vivi, presenti e tangibili tutti i loro punti di riferimento (le mamme, i papà, i nonni, gli zii le zie e tutti gli altri) e non hanno ancora motivo per farseli stare sul cazzo, tutti insieme o singolarmente che sia. Non hanno ancora piena contezza (se non di riflesso, in certi casi) di sentimenti avversi come l’invidia, le antiche “ruggini” familiari, gli scazzi e i nervosismi e non conoscono ancora la vera “competizione”. Se un cugino riceve un regalo più bello e più costoso di quello che è toccato a loro (perchè magari lo zio arricchito e stronzo non ha voluto perdere nemmeno questa occasione per mostrare agli altri parenti quanta strada e quanta grana ha fatto nella vita), è ancora facile che sia pronto – almeno per quella sera – a condividerlo con gli altri per giocarci insieme. Perchè ancora sa come divertirsi e ancora non è diventato stronzo come il padre.

Il problema sorge quando invece bambini non si è più. Ecco che in ordine sparso cominciano ad affacciarsi tutte quelle cose che poi inevitabilmente portano la gente a cominciare a riflettere sull’ effettiva piacevolezza della festa, fino (in alcuni casi estremi) ad arrivare a non sopportarla proprio. Con l’ adolescenza diminuisce fino a scomparire l’ incanto di quella magica notte, e a vari livelli questo viene sostituito da dubbi e domande del tipo: “ma perchè Babbo Natale somiglia così tanto a Zio Alberto che fa la voce da scemo” ? Poi si leggono in rete quelle cose messe lì apposta da maledetti guastafeste iperrealisti che ti dimostrano con la fisica applicata l’ impossibilità pratica per un solo essere (per quanto soprannaturale) di fare il giro del mondo su una slitta trainata da renne per consegnare regali, insomma roba così. Comincia qui una sorta di insofferenza, che unita allo spirito ribelle tipico dell’ età spinge i ragazzi a sbuffare quando c’è da fare “Natale Coi I Tuoi” perchè preferirebbero già starsene a casa in pigiama o in giro con gli amici a sbocciare prosecco del Todis.

Andando ancora avanti i guai aumentano, perchè (complice il tempo che passa inesorabile) iniziano a sparire i “punti di riferimento” di una volta. Di solito tocca prima ai nonni, a volte precocemente ad uno o tutti e due i genitori, poi è la volta di uno zio (generalmente mai quello stronzo, sempre quello più simpatico vai a capire perchè)… insomma, si entra in quella fase nella quale ad ogni riunione di famiglia la prima cosa che si fa è la conta delle sedie vuote: questo spesso rende queste occasioni abbastanza pietose perchè inevitabilmente ci si trova a rimpiangere “i bei tempi” e si deve tutti convenire che i cappelletti in brodo come li preparava nonna non li sa fare davvero più nessuno.

C’è poi da aggiungere una cosa che è sempre presente (cui ho accennato prima) ma che solo ad una certa età comincia a pesare davvero: sempre fatti salvi pochi casi fortunati, non esiste famiglia senza ruggini e scazzi. E più grande è la famiglia, maggiori sono le possibilità che queste cose creino grossi dispiaceri quando ci si riunisce. Quei fratelli che magari da piccoli si limitavano a tirarsi i capelli e a farsi lo sgambetto, da grandi cercano proprio di farsi le scarpe (se non la pelle) e iddio ci scampi da quello che succede quando ci sono in ballo anche screzi relativi alle eredità o a chi era il preferito/a di mamma/papà e tu cosa hai fatto per loro e loro cosa hanno sofferto per te eccetera eccetera. Ho visto nuclei familiari alzarsi dalla tavola imbandita per il pranzo del 25, prendere i cappotti e i cappelli e andarsene incazzati sbattendo la porta. Ho visto anche nella stessa occasione parenti prendersi direttamente a schiaffi non prima di essersi rinfacciati davanti a tutti i presenti cose che avrebbero dovuto rimanere “segreti di famiglia” (“zitto tu che non sei nemmeno mio fratello, ti hanno adottato a due anni perchè pensavano di non poter avere figli” ! “Aaaah… e parli tu, meno male dopo sei nato te che con quel vizietto li hai fatti dannare per anni, dentro e fuori dalla galera, e intanto chi ci pensava a loro” ? ).

Insomma, sò problemi.

L’ unico momento in cui tutto torna ad essere almeno sopportabile è il ricambio generazionale, quando arrivano i “Nuovi Piccoli” e alla fine si fa tutto per loro: la famiglia ha un nuovo assetto stabile, almeno fino a quando non cresceranno anche loro e partirà un nuovo giro di giostra.

Dite l’ ho messa giù troppo dura ? Forse. A dire il vero ho un po’ caricato su certe cose, ma in fondo – mutatis mutandis – sono storie e sensazioni che prima o poi abbiamo vissuto un po’ tutti.

Sto cercando qui (basandomi ovviamente su quella parte di mondo tangibile che conosco) di dare una spiegazione a quel particolare stato d’ animo tipico di questo periodo che spesso quando qualcuno ci augura “Buon Natale” ci fa pensare “Buon Natale Un Cazzo“.

In definitiva, al netto di tutte le usanze e le tradizioni, credo che le feste natalizie siano una specie di grande prova: una scommessa, una gara a chi resiste di più. Solo chi è veramente sereno, centrato, equilibrato e benevolo (nonchè parecchio altruista) può uscirne “vincitore”. Per tutti gli altri sono cazzi amari.

E’ per questo che il mio pensiero (ed il mio consiglio, per chi lo volesse accettare) è il seguente:

Per le feste, chi può si circondi di bambini: con loro si va sul sicuro e danno un senso a tutto. Anche il bambino più stronzo non sarà mai stronzo come uno stronzo adulto, e possiamo gestirlo facilmente. Ricordo mia madre, che non importa in che “ramo” della famiglia si trovasse ogni anno a Natale, risolveva facendo quella che “si occupava dei piccoli”: organizzare i giochi, raccontare favole e tenerci occupati per lei era faticoso ma sempre meglio di doversi lanciare in futili chiacchiere e pettegolezzi con i suoi coetanei.

Chi non può, si limiti a stare solo ed esclusivamente con chi gli va davvero a genio: possono essere parenti, o anche amici (perchè no), l’ importante è che siano persone con cui si vuole davvero passare del tempo. Solo così sarà tempo ben speso e ci farà venire voglia di arrivare al prossimo anno per provarci un’ altra volta.

Ultima cosa (fondamentale, perchè è da questa che alla fine tutto dipende): se vi rode il culo, statevene a casa. Quando siamo “storti” col cervello, quando siamo presi da problemi più grandi di noi (o almeno che così ci appaiono), non c’è compagnia che tenga: ogni cosa è destinata a diventare un peso ed a farci diventare un peso per gli altri. Anche per chi ci vuole bene, vederci buttati su una poltrona con un bicchiere in mano ed un sorriso palesemente falso a far finta di partecipare alla festa senza riuscirci è una fonte di dispiacere e preoccupazione: se non riusciamo ad essere allegri noi, almeno evitiamo di rattristare gli altri mentre ci provano. Già è dura così, cerchiamo di non rompere i coglioni al prossimo.

Da aggiungere che chi ha Fede (e trova conforto nel lato strettamente religioso della festività) ha senz’ altro una freccia in più al suo arco. Non è il mio caso ma sono più che convinto che vada come vada, succeda quel che succeda, farsi una passeggiata in piena notte e starsene al calduccio di una chiesa accogliente ed illuminata, rassicurati da una liturgia senza sorprese e dallo sguardo benevolo del festeggiato che offre tutto senza chiedere niente, sia un modo per uscirne sereni e migliori di prima. Magari anche cantando in coro e stringendo le mani di perfetti sconosciuti che però – in quel momento – sono come fratelli e sorelle.