Altro pippone riflessivo, destinato già dalle prime righe a mostrare il suo carattere di tema dall’ interesse ristretto, però oggi va così e come al solito chi vuole leggere legge e chi no, no.
Personalmente non mi ritengo un maniaco della qualità in particolare (parlo della qualità degli oggetti, ovviamente, le persone fanno storia a parte). Per la maggior parte delle cose di uso comune punto più che altro alla funzionalità e alla soddisfazione dello specifico bisogno nell’ immediato.
Anche perchè, come da titolo, la qualità è morta. Inutile cercarla, se va bene se ne trova qualche fantasma qua e là, ma giusto l’ ombra.
La “massificazione” delle cose, la loro produzione intensiva in serie, se da un lato ha dato a tutti (o quasi) la possibilità di possedere ed utilizzare oggetti che prima erano appannaggio di pochi (e ciò è bene), dall’ altro ha portato ad un decadimento generale della loro qualità.
E non è nemmeno una questione di prezzo, sia chiaro. Anche la roba che oggi costa un occhio, al 90% è pura merda. Magari decorata con foglia d’ oro, ma sempre merda.
Esempi ? Ma si, esempi:
Esempio automobilistico (alto livello). Prendete una berlina Jaguar XJ prodotta negli anni ’70. Costava un accidente ed era qualità pura: acciaio vero, pelle vera, radica vera, montata praticamente a mano. Ora prendetene una costruita dal 2000 in poi: costa un accidente anche lei ma è un’ accozzaglia assemblata di robaccia che vi farà presto pentire dell’ acquisto.
Esempio automobilistico 2 (basso livello). Prendete una Fiat 500 F o L da metà anni ’60 a metà ’70. Economica, prodotta in serie, spartana quanto vogliamo, ma “di qualità”. Non per niente a distanza di 50 anni ancora camminano. Prendete ora la sua omonima attuale: costa troppo, è piena di cose inutili che si rompono e dopo un anno comincia a scricchiolare e a perdere pezzi di plastica in giro. Non credo che fra 50 anni ne vedremo molte in giro, no.
Esempio televisivo. Prendete uno dei primi televisori LCD, magari un Sony, prodotto in Giappone. Grandezza sotto i 40 pollici (perchè già era un lusso così, più grande diventava proibitivo). Aveva forse qualcosa da invidiare ad un modello attuale, magari anche grande il doppio ma assemblato in Cina con componenti malesi (o in Malesia con componenti cinesi) ? No, anzi. Un 32″ Sony di prima del 2000 mi è durato più di 15 anni, non ha mai perso un colpo e per spostarlo bisognava essere in due per quanto pesava. Un suo omologo del 2018 è tutto un rumoraccio di plastiche scadenti, scalda come un forno e perde colpi già dal secondo anno di vita.
Esempio bevereccio. Chi conosce la birra “Ichnusa” ? Io l’ ho scoperta tanti anni fa in Sardegna (si trovava solo lì, oppure a Civitavecchia – per ovvi motivi – oppure in qualche alimentari di proprietà di gente sarda). Ora, sarà suggestione, ma da quando la Heineken (già proprietaria del marchio dal 1986) ha cominciato a spingerne la produzione intensiva tirandola fuori dalla “nicchia” che occupava egregiamente, quella birra non è più la stessa.
Esempio audiofilo. C’è bisogno che mi metta a fare la differenza fra l’ ascolto di un vinile o di un CD attraverso un amplificatore valvolare anni ’80 ed un paio di casse Infinity e l’ ascolto dello stesso album in formato “elettronico” tramite un sistema digitale moderno ? No, non serve.
E allora, direte, è la solita geremiade per dire che non ci sono più le belle cose di una volta ? E’ la solita nostalgia di un quasi-vecchio brontolone che si rotola nel rimpianto di ciò che fu e che non è più ? Il solito “si stava meglio quando si stava peggio” ? Il solito “avevamo di meno ma era tutto più bello” ?
No, cioè non del tutto. In parte un po’ si (ma è fisiologico), però fondamentalmente è solo una presa d’ atto, non necessariamente lamentosa: devo essere sincero, la massificazione mi ha fatto comodo per tante cose… potermi permettere oggetti e comodità che prima erano solo per pochi eletti non è che mi abbia disturbato. Però bisogna essere consapevoli: questa cosa si paga, e si paga in termini di qualità. Non lamentiamoci quindi per la sua mancanza: è anche colpa nostra e dei nostri (forse troppi) desideri se non c’è più.