Un mio vecchio racconto: Karma
«Come diavolo è potuto succedere?»
Nessuno risponde. Qualcuno nicchia e si volta da un’altra parte, altri mimano un boh.
L’unica voce che si leva è quella del medico legale che dopo aver finito di compilare alcuni moduli sul tablet annuncia: «Potete spostare il corpo, sempre se ce la fate a tirarlo fuori da lì sotto.»
L’ispettrice, ancora in attesa di risposta, reagisce alla frase del medico con il ritardo classico di chi è stato svegliato di soprassalto nel cuore della notte. Lancia un’occhiata interrogativa al responsabile della Scientifica, che conferma il via libera. Due agenti della Mortuaria entrano in scena controvoglia, evidentemente poco avvezzi allo spettacolo che hanno sotto gli occhi nonostante i molti anni di servizio.
«Come mai si trovava qui?» Chiede l’ispettrice, toccandosi distrattamente il naso con l’indice destro, nella convinzione che il punto nero, appena accennato la sera prima, ora abbia deciso di mostrarsi in tutta la sua arroganza.
Il collega accanto le risponde con lo stesso risicato entusiasmo che dedica alla sua immagine mattutina riflessa nello specchio. «Questo è strano. Non ne aveva motivo.» Allarga le braccia a indicare tutt’attorno, come presentando la scena del crimine a un pubblico immaginario. «Quest’ala dell’azienda è in costruzione, ma i lavori sono fermi. La vittima è il capoccia di tutta la baracca qui. Il suo autista personale dice che prima di salire in auto si è voltato verso questo capannone come se qualcuno lo stesse chiamando e si è fiondato dentro senza dare spiegazioni. L’autista però dice di non aver sentito chiamare nessuno. Ed eccoci qui.»
L’ispettrice annuisce, più per darsi un tono che altro, sbircia l’orologio e si domanda quanto ancora ci vorrà perché possano tutti andarsene a casa, visto che il suo turno di reperibilità sta per finire e l’aspetta una settimana di ferie.
Ma i tempi si allungano, un via vai di agenti e responsabili della fabbrica si alternano per cercare di capire come recuperare la vittima. Allora decide di portarsi un po’ avanti col lavoro. Apre l’app riservata della Polizia di Stato e inizia a compilare i campi obbligatori necessari per redigere il rapporto preliminare dell’indagine.
Spunta, clicca, scorre, seleziona, nella casella Causa del decesso, esita.
Passa alle generalità della vittima domandandole al collega. Lui le risponde e lei inizia a digitare il nome finché un lampo di memoria la fa rimanere col dito indice a pochi millimetri dal display. «Perché il nome non mi è nuovo?»
Il collega sembra ignorarla, con le mani affondate nelle tasche del giaccone, intento a osservare il lavoro di recupero del cadavere.
«Oh, mi senti?» Lo riprende lei.
«Sì, scusa. Dicevi?»
Sospira. «Perché il nome non mi è nuovo?»
«Ah sì, circa un anno fa. Scompare il fratello. Fratello e socio contitolare dell’acciaieria di famiglia. C’erano divergenze professionali e private. Insomma il tizio/socio/fratello scompare e tra le piste investigative si sospetta che sia stato fatto sparire da lui.» Indica il morto. «Ma il corpo non viene trovato, il tempo passa senza nuovi elementi e tutto finisce in un beneamato ca…»
«Eh, Pedron, ho capito, ho capito!» Sì, ora ricorda l’ispettrice, mentre apre il database online del Ministero e inserisce il nome.
Scorre velocemente il file del caso. La scomparsa, gli scarsi rapporti e la domanda di archiviazione come allontanamento volontario dopo un’indagine tanto breve quanto inconsistente. Unico dato certo il solo sospetto mai provato che l’uomo fosse stato ucciso e gettato in uno degli altiforni della fonderia.
Torna sulla schermata di compilazione poi blocca il cellulare mettendoselo in tasca. Si allontana piano dalla scena mentre un carrello elevatore guidato da un dipendente della struttura si avvicina a quello che resta del proprietario dell’acciaieria.
Cammina per i reparti, guardandosi attorno distrattamente, seguendo più il filo di un pensiero che un percorso vero e proprio.
Arriva al cospetto di un enorme altoforno quiescente, pieno di magma metallico ribollente che aspetta di essere trasformato in elementi da costruzione, piastre, cavi metallici, strutture portanti, putrelle.
Alcuni operai la osservano curiosi, dall’alto delle passerelle e dai ponti di comando dei macchinari, forse domandandosi del loro destino dopo la tragica fine del loro principale.
La donna lascia che lo sguardo rincorra i pensieri, tra l’altoforno e la porta sezionale antifiamma aperta dalla quale è arrivata.
Anche da quella posizione riesce a vedere una parte della scena della disgrazia. La parete crollata, la ferita nella struttura d’acciaio che compone il nuovo capannone. Il carrello elevatore romba mentre solleva una delle due parti della putrella che si è inspiegabilmente spezzata creando una rottura frastagliata, una serie di creste appuntite.
Cuspidi metalliche che si sono fatte strada nel corpo di un uomo, liberandone sangue e anima, organi e colpe.
Come diavolo è potuto succedere, si domanda ancora la funzionaria di polizia, che un pezzo d’acciaio spesso mezzo metro si sia potuto spezzare in quel modo.
Alterna lo sguardo tra la fornace e la putrella spezzata, più volte, poi rifiuta l’assurdo pensiero di una vendetta oltre la morte e riattiva lo smartphone, seleziona Incidente nella casella Causa del Decesso e chiude la pratica applicando la sua firma digitale.
21 novembre 2017