QUANDO ERO UNO “PSICODELINQUENTE” – PARTE SECONDA

Una volta fatta la frittata, non puoi più separare le uova. Quindi, alzato il casino che si era alzato – grazie in sequenza all’ idiozia stellare di R. e di M. – la quantità di merda che ha colpito il ventilatore è stata mondiale.

Aggiungiamo all’ idiozia dei figli quella dei genitori, ed otterremo un quadro abbastanza chiaro della situazione.

Nei giorni successivi, già fra noi a scuola l’ atmosfera si era fatta tesa: ricordatevi sempre che stiamo parlando di adolescenti fondamentalmente cazzoni, che tendono ad ingigantire i problemi e a vedere tutto come la fine del mondo. Tutti i genitori ormai erano stati informati e ognuno probabilmente a casa ci aveva messo del suo. A quanto ne so, solo a casa mia vigeva una specie di “sospensione del giudizio”: mia madre non si pronunciava e mio padre si era già pronunciato. La sua idea era “innocente fino a prova contraria” e comunque me la sarei dovuta vedere da solo: ero stato cresciuto ed educato in quel modo e così doveva essere. Mi disse solo (attraverso il filo di fumo di una sigaretta appena accesa): “hai una settimana per chiudere questa faccenda, non farmi più rompere le palle da questi deficienti. Se – e solo se – senti aria di denuncia fammelo sapere, che non è il caso di essere tirati in mezzo per una stronzata del genere“.

Fra noi ragazzotti la situazione era questa: R. e M. avevano fatto “comunella” e si erano messi da una parte, A. si era completamente isolato, io e G. ci eravamo messi dall’ altra. Due opposte fazioni ed un neutrale: equilibrio perfetto.

I genitori di R. (una professoressa della scuola che frequentavamo, per fortuna in un’ altra sezione, ed un ingegnere dell’ IBM, che a quei tempi ancora andava forte. L’ IBM, non l’ingegnere) convocarono una riunione pomeridiana a casa loro con tutti noi cinque e rispettivi genitori. Doveva essere una cosa per chiarire, ma si trasformò immediatamente in un processo per direttissima.

Come da accordi intercorsi, io mi presentai da solo e così anche G., dato che i suoi – gestendo un’ attività privata – non potevano permettersi di perdere tempo con queste beghe. A., a malincuore venne accompagnato dalla madre (che aveva un “debole” per me e che a onor del vero fu l’unica a difendermi, gesto non richiesto ma comunque apprezzato). M. venne con il padre (il “temibile” funzionario della questura) ed R., che giocava “in casa” aveva tutti e due i genitori.

Ci accomodammo tutti, il salotto era stato preparato a dovere con sedie aggiuntive, vassoi di snack, bibite per i giovani e drink per gli adulti. Sembrava una festa, ma stavolta nessuno avrebbe rubato niente.

Iniziò il padre di M. che da brava “guardia” esordì con: “signori, qui bisogna che chi ‘ha commesso il fatto’ si faccia avanti. I proprietari dell’ accendino (nessuno conosceva la reale entità del “bottino”, era uscito fuori solo quello) potrebbero sporgere denuncia, ma se il responsabile glielo restituisse forse andrebbe tutto a posto“. Ovviamente parlava guardando me, dato che il figlio aveva fatto il mio nome, ma essendo lui una “guardia” stava facendo in modo che fossi io a “cantarmela”. Cosa che ovviamente non accadde, anche perchè non ero stato io.

Tutti in effetti guardavano me (non è paranoia, vi assicuro che l’ aria era quella) e nessuno diceva niente. Tre minuti di silenzio fra sgranocchiamenti di patatine e sorsate di roba colorata, qualche accensione di sigaretta, poi alla fine mi pronuncio: “Signor padre di M., scusi se mi permetto, ma cosa le fa pensare che i padroni di casa – ammesso che si siano accorti della sparizione di un accendino – abbiano voglia di andare a fare una denuncia contro ignoti ? In quella casa ci saranno state cinquanta persone: quando gli chiedono se hanno sospetti su qualcuno che fanno, gli danno tutta la lista degli invitati ? A me sembra che si stia esagerando“. Avevo innescato il panico.

Altra manciata di secondi di gelo totale e poi uno dietro l’altro partono in due:

Il padre di M.: “Non esagero niente, è una questione di principio ! Che ragionamenti sono ? Si, potrebbero fare i nomi di tutti i presenti e poi verrebbero tutti indagati, compreso mio figlio ed io nella mia posizione non posso permettermi un affronto del genere ! Che facciamo, cominciamo a 15 anni con l’ omertà ? Non fare il mafiosetto, che vai a finire male! Cosa ti ha insegnato tuo padre ? Cominciamo benee a proposito, che lavoro fa tuo padre ? Non ho mai avuto il piacere di conoscerlo, ma ci scambierei volentieri due parole“.

Il padre di R. (ingegnere IBM, padrone di casa, alzandosi e venendo verso di me col dito puntato): “proprio tu parli ? E certo che parli così, non prenderci in giro, tanto nessuno lo dice ma lo sappiamo tutti che è colpa tua ! Lo diceva mia moglie ieri (guarda la moglie, che annuisce, per capire il tipo immaginatevi la Pina di Fantozzi), tu sei uno psicodelinquente ! Tu sei un pericolo per i nostri ragazzi“.

Nell’ inerzia generale (chi si guardava le scarpe, chi arraffava patatine, lo stesso infame R. che faceva finta di fare i compiti peraltro utilizzando proprio la calcolatrice rubata) decido di rispondere subito a lui, che col dito ancora puntato torreggiava in piedi su di me, che me ne stavo comodamente sbragato sul suo divano (aveva un maglione a rombi blu e gialli che – scherzi della mente – mi è rimasto impresso nella memoria più della sua faccia): “senta, Signor padre di R., abbassi quel dito e si rimetta seduto, che se mi alzo io con tutto il rispetto il dito glielo rimetto al posto suo. Io sono venuto qui perchè mi avete chiamato, non per farmi mettere in mezzo. Non so di che stiamo parlando, qualsiasi cosa sia successa non l’ ho fatta io e non ho idea di chi abbia fatto cosa (qui mentivo spudoratamente, ma potevo dirgli davanti a tutti che il vero coglione era proprio il suo povero figliolo ? No, non potevo). La ringrazio per l’ ospitalità, ma ora se non c’è altro che possa fare, io me ne andrei. Ah, la prego di non continuare a telefonare a casa, che mio padre è abbastanza infastidito dalla sua insistenza“.

(doverosa nota: mi rendo conto che sembra che stia facendo lo “sborone” e stia fornendo una versione riadattata delle mie parole, ma sapete che non sono un cazzaro e vi assicuro che la mia attitudine fu esattamente quella: fa parte della mia “maledizione”, da sempre freddo e allora decisamente più maturo – almeno nel dialogo – rispetto ai miei coetanei).

Poi, rivolto al padre di M.: “immagino lei abbia dei problemi con la mafia, visto che la nomina, beh, io no. Ma tutto sono tranne che omertoso (mentendo anche qui, ma potevo fargli notare come proprio suo figlio avesse prima accettato di buon grado un oggetto rubato e poi preso dai rimorsi glielo avesse dato inventandosi un mucchio di cazzate ? No, non potevo), e comunque il lavoro che fa mio padre sono cazzi miei, quello che mi ha insegnato pure, e no, non credo che lui abbia piacere di parlare con lei, quindi se lo scordi“.

A quel punto, visto che nessuno diceva più niente, salvo borbottare cose tipo “dove andremo a finire” e fatta eccezione per un flebile tentativo in mia difesa da parte della madre di A., mi alzai e feci per andare verso la porta. Notai con la coda dell’ occhio che la madre di R. si copriva la faccia con le mani e sembrava singhiozzare. Quasi arrivato alla porta, sentii uno spostamento d’ aria dietro di me. Era il padre di R. (l’ ingegnere col maglione a rombi) che dicendo “Eh no” ! mi aveva preso per un braccio e mi tratteneva. Mi giro di scatto, svincolando il braccio, prendendo il suo a mia volta e spingendolo attraverso un’ altra porta in camera da letto. Chiudo la porta e – forse esagerando un po’ – lo attacco letteralmente al muro. Adesso, è paradossale che un ragazzino di 15 anni debba venire alle mani con un maturo e stimato professionista di almeno trent’ anni più grande, ma giuro che mi aveva davvero rotto il cazzo, lui, il suo figlio scemo e il suo maglione a rombi del cazzo. Nonchè la moglie singhiozzante e tutta la situazione nel suo insieme. Il discorso fu: “si è calmato ? Posso lasciarla ? Se ha deciso di fare a botte si cerchi qualcuno della sua età, perchè io sono minorenne. Ma se insiste (notare che nonostante tutto mantenevo l’uso del “lei”), prima le rompo il culo, poi la denuncio. Allora, adesso che siamo soli (nel frattempo da fuori bussavano alla porta ma l’ ingegnere ebbe il buon senso di dire che era tutto a posto) le dico le cose come stanno. L’ accendino se lo è intascato suo figlio (ho volutamente tralasciato il resto della “refurtiva”), poi come sia finito nelle mani di quell’ altro coglione di M. non lo so. In più, se è alla ricerca di psicodelinquenti, cominci a cercare di capire dov’è che suo figlio compra il “fumo” col quale poi ci dilettiamo a farci i cannoni che ci facciamo da un po’ di tempo a questa parte. Ora, se vogliamo trovare una soluzione sono qua. Altrimenti arrivederci“. Un po’ fortino, se vogliamo, ma vero. Tutto vero.

Uscimmo insieme dalla stanza, lui un po’ disorientato ma col maglione a rombi perfettamente a posto, io visibilmente incazzato. Salutai tutti e indicando dietro di me col pollice lanciai un generico: “fatevi spiegare da lui, io vi saluto, arrivederci“.

Poi la soluzione si trovò, ma la lascio per la terza ed ultima parte.

(continua…)