QUANDO ERO UNO “PSICODELINQUENTE” – L’ EPILOGO

In effetti gli epiloghi sono due: uno a breve termine ed uno un po’ più avanti nel tempo (che poi è un po’ la morale della cosa). Andiamo per ordine.

La mia parte nella commedia non era ovviamente finita. Scoprendo le carte col padre di R. avevo creato i presupposti per un bel casino nella sua famiglia, anche se non sapevo che di presupposti ce n’erano già abbastanza da prima (ma questo fa parte del secondo epilogo). Per i due giorni successivi R. non venne a scuola e nessuno lo vide in giro. Quando poi tornò, adducendo un problema alla vista (con tanto di certificato medico e referto oculistico) si trasferì dalla “curva sud” (il nome che avevamo dato ai nostri quattro banchi rigorosamente appiccicati fra loro e posti nel fondo più remoto dell’ aula) alla “tribuna vip” (la prima fila di banchi vicino alla cattedra). Così, diceva, avrebbe potuto vedere bene la lavagna. Smise di uscire con noi e di “studiare” con noi il pomeriggio. In pratica sparì dai radar pur essendo lì ogni giorno.

Nel mentre, M. mi disse che il padre (sempre il “questurino”) voleva parlarmi (“ancora ? E che cazzo se dovemo dì cò tù padre” fu la mia reazione immediata) ed all’ uscita di scuola me lo trovai lì fuori. Mi disse: “Alberto, ho parlato col padre di R. e ho capito la situazione. Mi dispiace di averti trattato male, però ti consiglio comunque di non fare così lo strafottente con gli adulti, perchè potresti trovare quello che reagisce male” Pensando fra me e me che avrebbe semplicemente potuto – forse dovuto – chiedermi scusa, ma che evidentemente proprio non ce la faceva, cercai di essere gentile. “Signor padre di M., la ringrazio per il consiglio ma non si preoccupi. Prima di rispondere alla gente, valuto la situazione e prendo sempre le misure: se non è il caso mi trattengo ma con lei sapevo che non avrei avuto problemi“. Ancora oggi non so se abbia capito il senso recondito del messaggio, comunque annuì con aria benevola e continuò: “Adesso rimane il problema dell’ accendino: io a casa non me lo tengo, è contro i miei princìpi essendo merce rubata. Ovviamente non è il caso di raccontare la storia ai proprietari, non vogliamo che si creino attriti tra le famiglie (ah, brutto stronzo, se dovevate sputtanare me degli attriti non ve ne fregava un cazzo, però), quindi ho pensato di darlo a te, sono sicuro che saprai cosa farne“.

Stavo per girare i tacchi e suggerirgli io cosa avrebbe potuto farci lui, con quell’ accendino di merda, poi riflettei un attimo, ebbi un’ illuminazione, tesi la mano e dissi: “OK. dia qua, ci penso io. Storia finita” ? “Storia finita“.

Il giorno dopo (allo scadere della settimana che mi era stata data come termine da mio padre), dopo aver messo a punto una storia che oggi mi sembra una cazzata immonda ma che allora mi suonava bene (ricordiamoci sempre che ragionavo da adolescente, per quanto precoce, ma sempre adolescente), ad ora di pranzo mi presentai a casa della festeggiata – derubata. Citofonai: “sono Alberto, un amico di F., ero alla festa l’altro giorno, posso salire un attimo” ? Salii. Erano tutti a tavola, la festeggiata ci mise un po’ a capire chi cazzo fossi, dovetti spiegarle che ero amico di R., il ragazzo di S. che era la sua amica del cuore e alla fine le si accese la lampadina. Mi rivolsi subito al padrone di casa e cantai questa canzone: “dunque, alla fine della festa mentre con gli altri amici aspettavamo l’ autobus, ci si è avvicinato uno che ci ha chiesto da accendere. Sono sicuro che era anche lui alla festa perchè l’ho visto girare tutta la sera (e mi lanciai in una descrizione talmente generica che avrebbe potuto essere chiunque, infatti a nessuno in casa venne in mente chi cazzo fosse ‘sto qua). Poi ci ha fatto vedere questo (e tirai fuori l’ accendino) solo che era scarico. Ci ha chiesto se volevamo fare un affare perchè era d’ oro ma a lui non serviva e ce lo lasciava per 20.000 lire. L’ ho preso io e gliel’ ho pagato ma è qualche giorno che non riesco a levarmi dalla testa di averlo visto qui in casa sua. E poi sopra ci sono delle iniziali, G.B…. lei non si chiama G.B.” ?

Si, io mi chiamo G.B., ma questo accendino non l’ ho mai visto. E poi non fumo, qui nessuno fuma (non era vero, la figlia fumava eccome, ma chi ero io per dirglielo ?). Ti ringrazio per il pensiero e mi dispiace ti sia preoccupato, ma non è roba mia. L’ hai pure pagato, quindi direi che è tuo. Se posso darti un consiglio (tutti in vena di consigli, ‘sti adulti), lascia perdere le sigarette… fanno male“. Ci misi più di vent’ anni a dargli retta.

Ah, va bene, grazie e scusate il disturbo. Buon pranzo, arrivederci“.

A quel punto me ne andai a pranzo pure io, con l’ ormai “mio” bel Dupont placcato oro (che ficcai in un cassetto e dopo qualche tempo regalai ad un mio cugino, di nome Giovanni Battista – per comodità Gianni – così erano a posto pure le iniziali incise).

A casa lo caricai comunque (con quelle belle bombolette di gas propano con i beccucci intercambiabili, ormai credo non si usino più) e lo usai – una volta sola – per accendere le due sigarette che mio padre ed io ci fumavamo dopo cena (suscitando la malcelata invidia di mia madre che invece aveva smesso ma “rosicava abbestia” e sniffava di nascosto fumo passivo). Lo “relazionai” in merito a tutto lo svolgimento dell’ “accendino – gate” e lo rassicurai sul fatto che – come richiesto – era storia chiusa.

Da tutta la storia fin qui e da questo primo epilogo traggo queste conclusioni: in linea generale sarebbe bene non fare cazzate tipo rubare in casa d’ altri. Se proprio uno non resiste, sarebbe almeno il caso di fare in modo che ne valga la pena. Sempre se uno non resiste e se gli è andata bene che nessuno l’ha beccato, è opportuno astenersi dal farsi prendere dai rimorsi… ma se questi arrivano bisogna avere il coraggio di rimediare in prima persona e non tirare in mezzo gli altri. Anche perchè (come è successo) le conseguenze potrebbero essere peggiori dell’ atto in se’. E se io e il padre di R. in quella camera ci fossimo spaccati la faccia a vicenda ? E se fossero partite davvero delle denunce ? Altra cosa importante è stato osservare in prima persona come l’ ultimo arrivato in un “gruppo” già consolidato (soprattutto se – come nel mio caso – è una persona di cui fondamentalmente non si sa nulla e non ha “credenziali” di alcun genere) sia sempre quello che finisce con l’ essere additato come il responsabile di tutti i mali. E ciò non è buono. E’ il seme del “linciaggio”.

Ma ora, il secondo epilogo, con altri dettagli ed una bella chiusa da film con “chi è diventato cosa“:

Passati gli anni del liceo (io avevo iniziato il quinto da un’ altra parte, dato che erano ancora in atto gli infiniti “spostamenti” familiari e poco dopo sarebbero cominciati i miei personali) ci perdemmo un po’ tutti di vista. Del gruppo della storia ero rimasto in contatto solo con G. e con lo sfuggente A.. M. ed R. erano proprio spariti, anche se poi M. me lo ritrovai (senza grande sorpresa) in ambito lavorativo. Per fortuna per poco, vista la sua scarsa affidabilità. Un giorno dei primi anni ’90, fermo al semaforo sul lungotevere all’ altezza dello Stadio Olimpico mi misi a guardare la moto che mi si era fermata accanto (una Yamaha XT 600 prima serie col serbatoio a goccia, l’ ho sempre adorata), poi alzai lo sguardo verso il conducente con l’ intenzione di mostrargli il mio apprezzamento per il mezzo: aveva sempre lo stesso pizzetto e lo stesso sguardo leggermente strabico: anche se erano passati quasi dieci anni, riconobbi subito R.

Il tempo, si sa, cancella tante cose e smussa gli spigoli: non ci eravamo lasciati proprio bene, ma dall’ incontrarci al fermarci al primo bar per fare due chiacchiere fu un attimo. Ci scambiammo i numeri di telefono e mi invitò a cena a casa sua (la stessa casa del “processo”) dove ancora viveva con la madre.

La sera della cena mi presentai con una bottiglia e un bel sorriso. Il “deja-vù” era forte, ma la situazione era decisamente più rilassata. La madre di R. (quella tipo Signora Pina), magari non sarà stata una gran pedagoga ma sicuramente in cucina era forte. Mangiai di gusto e in abbondanza. Parlammo del più e del meno, e “cosa fai adesso” (rimasi vago come al solito), e “come stanno i tuoi” (rimasi ancora più vago seppur cortese), temporeggiammo tutti maldestramente ma poi alla fine rispuntò fuori la vecchia storia. Era inevitabile. La Signora Pina (che non si chiama Pina) si riprese il viso fra le mani e – esattamente come dieci anni prima – cominciò a piangere. R., imbarazzato, si alzò e (nel suo stile) uscì dalla stanza dicendomi “mi sa che mia madre ti deve dire qualcosa, aspetta che si calma, io vado a fare una telefonata che di questa storia non ne voglio più sapere niente, scusami“. Dopo un po’ la Pina riprese il controllo (più o meno) e fra una lacrima e l’altra mi raccontò che all’ epoca lei ed il marito (l’ ingegnere col maglione a rombi del cazzo) si stavano separando, e non in un bel modo: lei aveva scoperto che lui manteneva una ragazzina di 20 anni e lui oltre a non negare e non mostrare alcuna intenzione di tornare “sulla retta via”, aveva cominciato anche ad essere manesco e minaccioso nei suoi confronti. La storia andava avanti da un po’ e ovviamente il figlio aveva preso molto male la cosa. Questo, mi disse, spiegava un po’ tutto quello che era successo. Mi disse che lei pensava che io fossi un bravo ragazzo, ma non aveva il coraggio di contraddire il marito. Mi fece mille scuse, mi abbracciò stretto – troppo – e ricominciò a piangere a fontanella. Capii che rivangare tutta quella storia e quel periodo della sua vita non le aveva fatto bene e mi dispiacque un po’. Inoltre, la situazione stava diventando imbarazzante (visto che non si staccava, ed io un abbraccio più lungo di 15 secondi – a meno che non si tratti di persone care – non lo reggo). Le dissi che era tutto a posto, per me nessun problema, dissi che si era fatto tardi, aspettammo che R. tornasse giù e feci per accomiatarmi. “Aspetta, lo vuoi il caffè” ? “No, grazie, è sera e poi non dormo“.

FINE. – titoli di coda… e poi a seguire:

R. oggi è istruttore di alpinismo. Come cazzo faccia ad insegnare alla gente a fare una cordata e a fidarsi l’ uno dell’ altro non lo so, ma pare faccia quello. Mai dire mai. Comunque ha smesso di fumare, di farsi le canne e di rubare accendini. L’ ultima volta che ho visto il suo profilo FaceBook, ho visto che è anche diventato vegetariano e si è tagliato quel pizzetto del cazzo che gli stava pure male. Buon per lui.

M. oggi è il dirigente di un commissariato di Roma, ed ha all’ attivo diverse operazioni di successo. Mi è difficile sovrapporre questa sua figura con quella di un fregnone che a 15 anni non riusciva a tenersi un “segreto” per due giorni e che sempre a 15 anni stava per spararsi ad una tempia con la pistola del padre credendo fosse scarica (in quel caso credo di aver salvato una vita semplicemente strillando “CHE CAZZO FAI, DEFICIENTE”).

A. (lo sfuggente) è amministratore di una società che produce software. Per qualche anno ha lavorato insieme a me, poi alcune insanabili divergenze di vedute hanno fatto sì che andassimo ognuno per la sua strada. E’ padre di ben cinque figli, marito fedele e buon lavoratore. Non ci siamo lasciati benissimo, ma ogni tanto (molto di rado) capita che ci si incontri e allora un caffè ce lo prendiamo volentieri. A lui miei migliori auguri, nonostante tutto.

G. (come da tradizione di famiglia) è un commerciante, ed è anche mio fratello. (“ma non eri figlio unico, Albè” ? “si, ma a volte un Amico può diventare un fratello, e questo è il caso“). Siamo reciprocamente soci in tutte le nostre attività e ho perso il conto delle volte in cui ci siamo “salvati” a vicenda. I suoi due figli sono i miei unici “nipoti”, sua sorella è mia sorella.

Io, beh, sono io: credo mi conosciate abbastanza, ormai. C’ è tanto da raccontare, ammesso che qualcuno abbia voglia di stare a sentire, ma in fondo lo sto facendo, no ?

28 pensieri riguardo “QUANDO ERO UNO “PSICODELINQUENTE” – L’ EPILOGO”

  1. P.S.: in tutto questo resta il mistero di chi cazzo fosse quell’ accendino. Forse qualche altro invitato che l’aveva lasciato lì ? Non credo, ne avrebbe chiesto notizia, chissà. Vabbè, sti cazzi. Di chi fosse non lo so, di chi è invece si: è di mio cugino (sempre che non gliel’ abbiano fregato). Comunque ha smesso di fumare da un pezzo anche lui, il problema non si pone. 😉

  2. Spero che collezionerai tutte le tue storie di vicende personali in ordine cronologico. Sia quelle pubblicate qua, sia commenti lasciati altrove. La maggior parte sono avvincenti.

    1. E’ tutto qui. L’ ordine è sparso, ma la mia abitudine di indicare sempre il periodo in cui si sono svolte le cose rende facile metterle in fila, volendo. I commenti altrove, beh, quelli mi sfuggono. Che poi mi cominciano a sfuggire anche gli articoli qui… guardando le statistiche ad oggi ne ho scritti 518 in tutto, distribuiti su oltre 12 anni di Blog. Mi toccherà trovare un biografo ! 😀 😀 😀

    1. Guarda, ti confesso che a bocce ferme e tutto finito sarò stato una settimana buona a fare ipotesi. Poi mi sono rotto i coglioni e l’ ho chiusa lì. Il bello è che nessuno ha mai detto niente nemmeno in merito agli altri tre oggetti spariti (e pure quelli non potevano non essere di nessuno, ma tant’è).

      1. magari i figli rubacchiavano alle feste degli amici?
        si sa mai cosa aspettarsi dagli adolesceenti

    1. Probabilmente eri su un diverso piano di consapevolezza…
      Ti dirò che io sto “regredendo” (e non è una cosa negativa): tendo talmente tanto a farmi i cazzi miei che ho la vita sociale di un dodicenne. Sarà un anno buono che non esco la sera, forse anche di più.

  3. …ripresa dal post “esibizionista” con la carrellata delle mie metamorfosi nel tempo: nel periodo dei fatti in narrazione la mia gran faccia da cazzo era questa:

    il tutto montato su un attrezzo di circa 110 chili. Capisco che la gente benpensante non si sentisse molto rassicurata… 🙂

    1. Orcatroia che faccia da schiaffi, però. A riguardarmi adesso, meno male che sono cresciuto. 😀 Se oggi un ragazzino così si rivolgesse a me come mi rivolgevo io ai cinquantenni dell’ epoca lo prenderei automaticamente a sberle. In fin dei conti mi sono salvato, si vede che non ho mai incontrato il me stesso del futuro.
      Anzi no. Una volta forse l’ ho incontrato, gli ho fatto il dito medio in autostrada, mi ha inseguito, mi ha fatto accostare in corsia d’emergenza frenandomi davanti, è sceso e senza dire una parola una mi ha mollato uno schiaffone da destra a sinistra che mi ha fatto volare gli occhiali da sole. Sempre senza dire “a” è risalito in macchina e se n’è andato. E aveva pure ragione.

  4. Ehhh, chissà che fine ha fatto invece il mio quartetto, di quando ero adolescente… Mo me lo cerco, quasi quasi…
    Comunque bella storia. 🙂

    1. Io mi son ritrovata con tre che frequentavo a diciott’anni… due di loro sono frequentabili anche adesso, con qualche riserva; l’altra l’ho scartata. Ma siamo tutte quante siero esenti e la cosa non mi ha stupito.

  5. L’intera vicenda potrebbe fare da trama ad un film, con attori italiani.
    I ragazzi che si ritrovano dopo 30 anni, ed il ricordo di cosa accadde, e chi fece cosa.

    Valerio Mastandrea obbligatoriamente nel cast, forse anche Gianmarco Tognazzi e Ricky Memphis.

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