Mi fa un po’ incazzare l’attenzione che viene data da diversi mesi a questa parte agli sbarchi di Lampedusa. Senza nulla togliere al disagio e alle preoccupazioni degli abitanti dell’isola (che si dimostrano un livello di civiltà superiore a molti altri, per inciso), sembra che se non esistesse Lampedusa non avremmo sbarchi di clandestini.
Ora, né Maroni, né chi lo ha preceduto, tantomeno gli organi di stampa sembrano accorgersi del fatto che sulle coste del Salento lo sbarco di clandestini è quotidiano, fermato solo dal maltempo. Ma chi vive lontano dalla terra in cui vivo ritiene (e come dargli torto) che finiti gli sbarchi di albanesi negli anni 90, il problema immigrazione (o, a monte, il problema viaggi della speranza) si sia esaurito e spostato a Lampedusa.
Il mondo è pieno di disperati che fuggono dalla guerra e dalla miseria e che, se sono fortunati, arrivano sulle coste italiane. E se sono ancora più fortunati fanno le valigie ed entrano in un Paese europeo meno scalcinato del nostro. Ma, spesso, la loro vita termina nelle acque dello Jonio, altrimenti prosegue in uno dei lager per immigrati presenti nel territorio (tipo il centro di San Foca, gestito da Don Lodeserto, accusato di violenze nei confronti degli immigrati del centro e salvato dalla curia che l’ha spedito in eremitaggio).
E sì che il problema è molto complesso e coinvolge un’enormità di variabili, ma è giusto che la gente sappia che i canali della disperazione non si esauriscono con Lampedusa e che, passata la pressione mediatica, gli sbarchi proseguiranno, solo che non se ne parlerà più.
Come da noi, nel Salento.