Tutti gli articoli di Fabio Santa Maria

Scrittore ansioso antispecista e anche un po' punk!

IL VIAGGIO A ROMA DI REMO DETTO ROMA

RACCONTO BREVE DOVE NON SUCCEDE NIENTE, ASSOLUTAMENTE NIENTE

Saluti da Roma

Remo non voleva andare in nessun posto.
Voleva starsene buono buono al suo posto.
Aveva capito sin dall’inizio che non era aria, che era meglio lasciar perdere, che non ne valeva la pena.
Ma c’era tutto questo brusio letterario.
Non lo sentite anche voi tutto questo brusio letterario?
Questa ronzante mania di raccontare, di caratterizzare, di situare, di fornire particolari, di dotare i personaggi di personalità per farli assomigliare a tutti i costi alle persone.

Fu così che Remo fu costretto ad andare a Roma.
Ma sia ben chiaro: Remo andò a Roma solo perché, a casa, quel brusio non gli dava tregua.
Gli trapanava le orecchie e poi, non contento, prese a pesargli sulla schiena come uno zaino militare di quelli che ti fanno sudare sotto il sole e maledici il giorno in cui non ti sei dato pazzo, proprio come quel Gianni che era tornato da Londra e raccontava che, prima di partire per Londra, si era sparato un mese di reparto psichiatrico all’ospedale militare di Roma per farsi riformare.

Remo voleva andare a Roma perché era il primo posto che gli era passato per la testa e, soprattutto, perché tutte le strade portavano a Roma.
Fu allora che decise di cambiarsi il nome, che si sarebbe chiamato Roma.

Il viaggio non è degno di nota.
Non c’è proprio nulla da raccontare su quel viaggio.
Ci sono tanti di quei libri di viaggio che hanno già raccontato tutto, sarebbe folle cercare di metter su qualche particolare per rendere interessante il viaggio a Roma di Remo detto Roma.
Basta entrare in libreria, ci sono vagonate di romanzi sui viaggi: viaggi a piedi, viaggi in autostop, viaggi in bicicletta, con gatto e senza. Nei libri di viaggio c’è anche chi viaggia con il frigorifero, con lo skate o con altri oggetti ingombranti per rendere il viaggio interessante e poterci poi fare il libro. E poi c’è tutto il filone dei giri di qualcosa. Il giro d’Europa a cavallo, il giro dei laghi di Prussia in tandem, il giro della baie del nord con il pedalò, per non parlare dei mitici viaggi in vespa, in ape, in risciò, col tosaerba e via vai viaggiando.

Remo detto Roma, invece, durante il viaggio a Roma, non si è neanche soffermato a guardare una bella ragazza con aria sognante, non ha neppure lontanamente ipotizzato e fantasticato una fuga con lei verso luoghi meravigliosamente ignoti. Neanche qualche sgherro che la inseguiva e lui che la nascondeva nella cuccetta del treno che avevano prenotato per fuggire innamorati e insieme.

No, niente, proprio niente da raccontare.
Quando Remo detto Roma arriva a Roma comincia a vagabondare.
Ma non è senza soldi, perché il fatto lo spennellerebbe con una patina bohémien che non gli spetta proprio per niente.

Si compra quindi il biglietto e sale su un autobus, il numero 30.
Remo non ha alcun motivo per salire sul 30, non deve andare in nessun posto.
A Roma non conosce nessuno, si lascia trasportare nella corrente dell’anonimato con la massima tranquillità.

Alcuni potrebbero sostenere che il caso non esiste, che le coincidenze sono solo apparentemente prive di significati e motivazioni logiche e che, dunque, se Remo è salito sul 30 ci deve essere, immancabilmente, un motivo.

In effetti, desiderando approfondire la situazione, occorre segnalare che Remo, il giorno della sua partenza per Roma, compie trent’ anni e, una volta giunto in città, sale sull’autobus numero 30.
Alcuni biografi non autorizzati di Remo detto Roma insistono nel sostenere la Tesi Trentista. Costoro, in altre parole, proclamano a gran voce che Remo detto Roma, abbia preso il 30 perché desiderava offrire al mondo i suoi trent’anni di tran tran quotidiano dimostrando, con un gesto di estrema disinvoltura e semplicità, come si possa saltare improvvisamente nella dimensione del simbolico proprio mentre la folla ignara continua a vivere il suo quotidiano senza notarti.

A dire il vero, però, sono tutte fantasie perché Remo detto Roma continua ad aggirarsi per la città vagabondando senza meta e senza scopo, consumando le sue giornate e i suoi soldi senza porsi alcun tipo di problema riguardo al futuro e al senso della sua vita.

Ma torniamo sull’autobus numero 30.
Remo detto Roma non si accorge -e come potrebbe dopotutto?- che su quella vettura ci sono delle persone fuori dal comune. Si tratta di una coppia con vestiti variopinti che risaltano in mezzo al grigiore. Stanno sorridendo a Remo detto Roma. Forse lo conoscono, forse hanno vissuto esperienze memorabili con lui e magari scenderanno dal 30 per bere una birra tutti insieme e raccontare questo colpo di scena, questa nuova biografia inaspettata di un personaggio che non ha nulla da dire, che non si accorge di nulla, che non cerca e non trova nessuno, a cui non capita mai niente.

Ma Remo detto Roma non fa caso a quegli sguardi e a quei sorrisi.
Scende dal 30, da quell’unica occasione della sua vita, mentre la coppia con i vestiti variopinti rimane a sorridere per tutto il tragitto.

Fino al capolinea.

ANCORA SULLA SETTIMANA ENIGMISTICA

Quando ho scoperto questo blog 2010: Fuga da Polis, il primo articolo che ho letto riguardava la Settimana Enigmistica (lo trovate qui) . Un vero sballo, perché anch’io, anni addietro, avevo scritto dei ricordi su questo mistico e psichedelico settimanale! A dire il vero, il mio progetto era quello di scrivere un pezzo per ogni gioco della S.E. per farne un libro che, poi, magari, avrei proprposto proprio alla redazione!
Sin dalle prime battute, mi accorsi che una vita non sarebbe bastata, che, per di più, sarebbe stata molto più bella e ricca una raccolta di ricordi, aneddoti, racconti e pensieri scritti da un gran numero di persone.
Così lasciai perdere… Però, dopo la lettura dell’articolo, sono andato a riesumare il disco rigido che avevo estratto dal vecchio portatile e ho ritrovato il file.

IL PRIMO RICORDO
Era, più o meno, il 1970 e io avevo, più o meno, sette anni. Eppure quel giorno lo ricordo molto bene perché acquistai per la prima volta la Settimana Enigmistica. Trascorrevo le vacanze estive in un paesino isolato in montagna e, nell’unica pensioncina dove eravamo alloggiati, c’era un signore che m’intimoriva con quella sua aria severa e seria. Lo ricordo enorme, con la barba, camicia a quadri, pantaloni alla zuava, sempre con i libri sotto un braccio e, nell’altra mano, un bastone da passeggio. Un giorno mi chiama e dice che se voglio guadagnarmi un gelato dovrò andare all’emporio e comprargli la S.E. Ovviamente non sapevo neppure cosa fosse e, quando scoprii che si trattava di giochi enigmistici, rimasi esterrefatto. Mi sembrava impossibile che un uomo di quel genere potesse giocare, addirittura comprare una rivista di giochi, trascorrere il tempo giocando. Gli adulti che giocavano era un paradosso che mi affascinò sin dall’inizio, una sorta di rebus da risolvere a tutti i costi. Dovevo imparare anch’io questa cosa dei giochi enigmistici perché se anche da adulto avrei potuto giocare, allora crescere non sarebbe stato così terribile come a quei tempi mi sembrava.

BARZELLETTE
Il primo approccio con la S.E. è certamente con le barzellette perché si tratta di barzellette speciali con tutta una loro grafica coerente nell’insieme, alla quale ti affezioni, che ti entra nell’immaginario. E poi sono tante! Il gioco è proprio questo: almeno una barzelletta per ogni pagina. Una presenza importante, quindi, dalla quale non si può prescindere. Alcune sono acute, alcune ti lasciano senza parole, alcune, almeno una per ogni numero, non riesci a capirle. E allora le condividi: “ma tu, questa, l’hai capita?”. Ed è così che scopri come, anche per gli altri, c’è n’è una, almeno una per numero, del tutto incomprensibile. Da ragazzi, quando ci passavamo la S.E. per leggere le barzellette, era tutto un discutere e ridere sul significato e l’assurdità di certe barzellette demenziali.

IL CRUCIVERBA DI COPERTINA
La S.E. la portava a casa mio papà. La appoggiava sul tavolo in corridoio insieme ai giornali il sabato mattina. Lui cominciava dalle notizie sportive per poi passare al resto e quindi la S.E. era libera e disponibile per tutta la mattina. Io e mio fratello avevamo ideato una specie di gioco: chi arrivava primo se la prendeva e poteva tenerla per tutto il tempo che desiderava. Ad un patto però: doveva risolvere il cruciverba della prima pagina. Poteva tenersi il prezioso fascicolo, ma non poteva aprirlo, sfogliarlo e gironzolare alla ricerca dei giochi preferiti. O meglio: avrebbe potuto farlo solo dopo aver completato il cruciverba di copertina.
Ricordo che quando toccava a me fremevo e faticavo a resistere cercando di concentrarmi. La S.E. praticamente intonsa mi pareva molto più pesante e, in qualche strano modo, riuscivo a sentire l’incredibile e affascinante mondo di enigmi che avevo tra le mani. Questo divertente rituale non l’ho più abbandonato e quando esce la S.E. mi piace attendere qualche minuto prima di aprirla e, rigorosamente, mai prima di aver risolto il cruciverba di copertina.

IL REBUS DELL’ULTIMA PAGINA
Avrò avuto quattordici anni ed ero in vacanza sull’Adriatico, seduto su una sdraio sulla tipica terrazza di un piccolo appartamento a schiera con vista sull’orizzonte. Sento mio fratello più grande che si esalta con frasi tipo “troppo forte! Troppo bello!”. Mi mostra il rebus dell’ultima pagina, quello in basso, e mi dice che l’ha appena risolto. Prima di spiegarmelo, però, ci tiene a sottolineare che, quelli dell’ultima pagina, sono i più difficili. Il primo, insiste, è più “tecnico” e, malgrado la complessità, se riesci a definire gli oggetti e le azioni, alla fine lo risolvi. Ma il secondo, quello in basso, è tutta un’altra storia, ci vuole creatività, fantasia, inventiva, devi ricostruire un mondo, devi supporre, devi lanciarti con coraggio.
Quel giorno, mentre mio fratello mi spiegava orgoglioso il rebus, rimasi sbalordito e folgorato perché, a me, quelle vignette “letterate”, mi erano sempre apparse inutili ed insignificanti.

PASTICCI FACILITATI
Quando compilavo le mie prime “Parole crociate facilitate”, quelle in coppia sulle prime pagine della S.E., il foglio diventava un campo di battaglia. Tra pasticci e cancellature mi capitava pure di bucare il foglio che, qualche volta, andava a rovinare il gioco dell’altra facciata. Fu così che mio papà decise di prendere provvedimenti. Mi spiegò che i cruciverba non erano soltanto una caccia all’esatta definizione, ma anche qualcosa di bello nel suo insieme. Alcune definizioni, per esempio, anche se facilissime, potevano essere poetiche, oppure originali, oppure eleganti. Anche lo schema simmetrico delle caselle nere, oppure quello libero dovevano mantenere un certo equilibrio che richiamava l’armonia. Mi propose, allora, quando scrivevo all’interno dei miei cruciverba facilitati che, per una legge non scritta di famiglia, spettavano solo a me, di utilizzare un piccolo stratagemma: le mie lettere non dovevano mai toccare le linee nere. Non aveva importanza la bella scrittura perché, se con la matita non toccavo il diagramma, lo schema sarebbe risultato comunque ordinato e piacevole alla vista.

TRA IL PRIMO E IL SECONDO PIANO L’ASCENSORE SI FERMA DI BOTTO…

La buona notizia è che sono riuscito a incrociare la ragazza del terzo piano.Siamo entrati insieme in ascensore e abbiamo scambiato qualche parola. Era più di un mese che ci sorridevamo da lontano e adesso finalmente è qui.Solo che c’è anche la cattiva notizia…Tra il primo e il secondo piano l’ascensore si ferma di botto.Schiaccio […]

TRA IL PRIMO E IL SECONDO PIANO L’ASCENSORE SI FERMA DI BOTTO… — Troglodita Tribe S.p.A.f. (Società per Azioni felici)

GATTI E LIBERTÁ

Troglodita Tribe S.p.A.f. (Società per Azioni felici)

di Troglodita Tribe

Non è un mistero che la liberazione sia un percorso lungo e difficile, che ci sia da combattere con muri e gabbie di ogni genere, ma se c’è un fatto evidente, inossidabile, senza il quale questo percorso non è neppure iniziato, è proprio la facoltà di riuscire ad immaginare questa liberazione, la facoltà di reputarla possibile, realistica, attuabile.
Chi considera la libertà una mera utopia, chi pensa all’anarchia come ad un fatto puramente teorico che non trova certo posto nella propria vita quotidiana, che non è neppure ipotizzabile in questo contesto storico, ha perso, ovviamente, ogni possibilità di liberarsi.

Franco, un anarchico che conoscemmo in un paesino nei pressi di Seborga (IM), una volta ci disse: “Io all’anarchia ci credo davvero. Sono davvero convinto che la possiamo realizzare, ma non in un futuro lontano, la possiamo realizzare nel giro di poco tempo. Se non ci credessi non…

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Del morir dal ridere leggendo e anche scrivendo

di Fabio Santa Maria

Chi ha il coraggio di ridere, è padrone del mondo,
come chi ha il coraggio di morire.
Giacomo Leopardi

Parto con una citazione seria, ma anche con Groucho Marx in copertina, giusto per disorientare e al tempo stesso darmi un tono, visto che l’ironia, nel gran mondo della letteratura, non ha mai avuto quel posto in prima fila che meriterebbe. Eppure scrivere con un taglio ironico è talmente piacevole e liberatorio che è difficile resistere. Da Flaiano a Landolfi, da Benni a Salinger, sono davvero numerosi i grandi che si sono lasciati andare, che hanno felicemente superato la patina di austera serietà che i libri, ancora oggi, si portano tra le pagine. Si tratta di un trito rimasuglio del passato, di quando leggere era per pochi, per gente seria appunto.
E tutto il resto è serie B!

Eppure la scienza parla chiaro! Imparare a ridere, di se stessi tanto per cominciare, è la chiave di volta della felicità, è la strategia numero uno che consente di gestire i conflitti, la rabbia, la tristezza malinconica e spettacolare che ci devasta tutti i giorni. Avete presente il gingle pubblicitario, ininterrotto e devastante, quello caratterizzato dai modelli vincenti, luccicanti, aitanti, benestanti, solari e sempre sulla cresta dell’onda? Ecco, solo una risata può seppellirlo all’improvviso rendendolo ridicolo.
Consentendoci di tornare umani.

No, non sto scherzando, è appena uscito uno studio dell’Università di Granada che smentisce clamorosamente il vecchio adagio che condannava alla bassa autostima, alla demenza fantozziana, alla sfacciata sfigataggine chi elenca i propri difetti ironizzando, prendendosi apertamente per i fondelli, scoprendosi. No, non è neppure vero che è una pratica deprimente, anzi, è tutto il contrario del piangersi addosso.

E se l’ironia la trovi tra le righe di un libro, poi, è ancora meglio: ti si amplia il ventaglio delle opportunità, crollano i limiti, le barriere e i tabù. E’ come assistere in prima fila alla classica camionata di letame scaricata davanti a casa del dittatore di turno, è come infrangere le leggi del compunto buon senso che ti legano al bon ton, all’interpretazione rigida e pallosa del classico ruolo assegnato.

E’ come fare meditazione: osservi le parole che scorrono veloci e arriva proprio tutto quel non detto che ci voleva, che avresti voluto, e anche di più. E’ terapeutico perché superi la mente che, finalmente, smette di mentire, cambi canale, vibri pericolosamente in modo rivoluzionario.

Entri nei tuoi stessi difetti, nel cuore delle tue manie, delle tue paure, le vedi scendere in piazza a suon di battute e ti senti finalmente in buona compagnia. La guerra cessa all’improvviso e tocchi con mano quello che avevi sempre saputo: invece di nascondere tutto sotto il tappeto, nel buio della cantina degli orrori, che è una fatica immensa, quella sì deprimente, alienante, patologica, morbosa… condividi, ti apri, ti adagi finalmente al sole sulla spiaggia dei nudisti.
E Dio solo sa quanto è bello essere quello che si è, anche se si è poco, pochissimo, niente. Come scrisse la grande Carla Lonzi, poeta e femminista radicale che tracciò percorsi inediti di liberazione.

Che la magnifica risorsa dell’ironia sia sempre con noi e con il nostro sense of humor! Fino all’ultima risata che, con delicata e ironica maestria, ci seppellirà!

Santa Maria Fabio autore di “Versetti ironici contro l’ansia” Incipit23 Edizioni
Raccontini fulminanti, comici, demenziali, surreali, divertenti… contro l’ansia! Disponibile anche su tutti gli store online