Il video dello schianto aereo che lo youtuber Trevor Jacob ha ammesso di aver organizzato di proposito per ottenere più visualizzazioni | Flashes – Il Post https://flip.it/xYOBUY

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[A cura di: Elettrona e Gifter, da Il Mondo Positivo]
A noi piace giocare sporco con le parole e allora approfittiamo della libertà concessa da Alberto sulle cose da postare, per fare un po’ il verso all’abitudine di acchiappare i click. Noi però al contrario di certa spazzatura che c’è in giro, non guadagniamo soldi sopra se qualche volta scriviamo titoli e abstract che possano suscitare la malizia di chi legge.
Nessuno di noi vuole abbracciare, toccare, baciare chi che sia né tanto meno andare oltre anzi questo post parla di parole, come è nostro solito.
“Le parole hanno un peso”. Prendiamo la citazione di Tiziano Ferro e andiamo avanti: l’oggetto del contendere è stato il coming out dell’attrice Elena Di Cioccio sulla propria condizione di persona che vive con HIV, e le conseguenti reazioni sui social.
Non vogliamo fare i soliti discorsi triti e ritriti sullo stigma sierofobico e sul coming out relativo al proprio status perché siamo consapevoli di come questa, essendo una scelta senza ritorno, debba essere compiuta con la giusta consapevolezza e senza alcun condizionamento positivo o negativo da parte di terzi.
A noi alcune risposte in merito alla signora Di Cioccio hanno dato oltremodo fastidio in quanto chi le ha scritte o pronunciate, è seriamente convinto di star facendo del bene ma noi che più o meno direttamente viviamo la situazione in prima persona, sappiamo perfettamente quanto certe parole feriscano.
E qui veniamo al dunque con uno dei commenti rivolti alla signora:
Ciao Elena, in questo momento vorrei “abbracciarti, toccarti e baciarti”. È vero, non hai colpa e non “te la sei cercata”. Nessuno, anche dopo un rapporto sessuale, si augura di contrarre questa malattia che purtroppo ancora oggi colpisce tante persone. Ti ammiro perché hai avuto coraggio di spogliarti davanti alle telecamere, ma ricordati che ciò che è dentro di te è una caratteristica, una sfumatura di te. Resterai sempre speciale.
Qui vogliamo separare i nostri punti di vista perché essendo due persone con due esperienze diverse, vediamo il contenuto di qui sopra da un’ottica differente.
Va bene le virgolette ma cazzo! Toccarti, abbracciarti, baciarti, ma ti pare? E se la signora non volesse? A casa mia l’educazione dice che prima di precipitarsi addosso a una persona bisogna chiederglielo: “posso darti un abbraccione?” A meno che non sia una persona per la quale hai una estrema confidenza.
Dopo, “spogliarsi davanti alla telecamera” è una metafora ma la scelta delle espressioni mi dà sensazioni poco belle su chi le utilizza.
Quelle parole anche dette in un contesto fuori dal sessuale, hanno una componente erotica molto forte e quando in poche righe ti esprimi in un certo modo, sarà anche vero che la malizia è negli occhi di chi guarda però dai, quando è troppo è troppo.
Mi ha ricordato una mail ricevuta un paio d’anni fa da parte di un signore che sosteneva di insegnare religione a scuola e trovava il blog del “Mondo Positivo” come qualcosa di [parole offensive in disordine sparso].
Il messaggio era lungo sei righe, e le parole “cazzo” e “HIV” comparivano per ben tre volte nell’intera mail. Fantasia sessuale repressa, era chiaro come il sole anche se io il sole non lo vedo.
Io mio malgrado sono stata oggetto di molestie sia fisiche sia verbali, di persona e in rete, e dopo che le subisci, impari a riconoscerle anche da distante.
Forse questo è un pregiudizio, ma di fronte a certe situazioni è meglio difendersi e chiedere scusa una volta di troppo, piuttosto di trovarsi fregati quando è troppo tardi.
Abbracciarmi toccarmi e baciarmi per dimostrare che non hai paura dell’HIV giusto per convincere te stesso, più che me. Vuoi un calcio nel sedere ora o fra un momento?
Che sanguisughe! Esibiscono slanci di affetto senza provarlo veramente: sierofobici fino all’altro giorno poi quando scoprono che sei HIV positivo ti si buttano addosso come a volerti succhiare l’energia dall’interno pensando forse che il tuo virus possa lavare la loro coscienza. Déjà vu.
“Non te la sei cercata, non è una colpa. Nessuno, anche dopo un rapporto sessuale, si augura di contrarre questa malattia”…
Eccolo là! Sessuofobia mascherata. “anche dopo un rapporto sessuale nessuno si augura”, come per dire: “è talmente cattivo l’HIV che non lo auguro neanche a chi tromba” – fammi capire, trombare è un’azione malevola che meriterebbe una punizione comunque?
Probabile che il tale volesse alludere ai propri genitori che per aver trombato sono stati castigati mettendo al mondo un figlio come quello.
Vorrei sapere per quale ragione la gente assuefatta ai disegnini non è più in grado di collegare la razionalità alle dita quando scrive e finisce per confezionare emerite puttanate una di seguito all’altra senza rendersene conto.
Soprassiedo sul “quello che è dentro di te è una sfumatura, resterai sempre speciale”, questo pietismo si commenta da sé.
Torniamo a scrivere a quattro mani: è impegnativo modificare con calma l’uno gli sbrocchi e le incazzature dell’altro e abbiamo fatto del nostro meglio, per fortuna l’editing collaborativo non ci ha creato troppi problemi questa volta.
Senza dubbio quando un personaggio dello spettacolo racconta qualcosa di intimo è spiazzante, specie quando riguarda la salute.
Ma porco Giuda se non sai cosa dire, almeno cerca di fare silenzio perché chi vive la situazione in prima persona non sempre ha piacere di avere intorno chi esibisce oggi un affetto inesistente fino al giorno prima. A volte, col silenzio, si fa miglior figura.
Dei “ti ammiro”, “sei speciale”, entrambi abbiamo le tasche piene perché sappiamo quale ipocrisia ci sia dietro. Siamo stanchi delle offese mascherate da complimenti, sulle quali poi neanche possiamo replicare perché veniamo accusati noi di essere in mala fede e non capire la loro buona volontà.
Noi proviamo a far capire alla gente che possiamo mettere qualunque foto a rappresentarci, ma in fin dei conti ci identificano molto di più le nostre parole anche quando non lo vogliamo; dopodiché, il mondo, se ne accorgerà? Speriamo non troppo tardi.
[A cura di: Gifter, da Il Mondo Positivo]
Di HIV e AIDS i media generalisti non parlano più e, se lo fanno, usano la solita narrazione tossica e stigmatizzante sui casi limite di (presunte) infezioni intenzionali. Sbattere il “mostro” in prima pagina, piangere le persone morte o rimaste positive in modo evitabile, arresto dell’abusante poi sipario. E l’HIV è sempre un problema degli altri fino alla prossima volta. Anche la storia che sto per condividere è un caso limite, però la narrazione rassicurante del “mostro” sbattuto in prima pagina non aiuta ad affrontare la radice del problema cioè la sierofobia della quale sono responsabili in buona percentuale tutte le campagne divulgate con audio anche esplicativi ma con quel dannato alone viola che passava da una persona all’altra – e qui la mia collega Elettrona ha avuto il vantaggio perché la mancanza della vista l’ha messa al riparo da certa merda facendole memorizzare solo le cose giuste -.
E qui nessuno si permetta di dire che bullizzo la mia amica se parlo di “disabilità come vantaggio” perché è la volta che diventerei una belva; non voglio offendere gli altri, tanto meno una delle persone a cui voglio più bene al mondo; prendo solo atto che spesso le campagne pubblicitarie anziché trasmettere lo stesso messaggio indipendentemente dalle capacità sensoriali, veicolano alcune informazioni visive e l’audio dice il contrario. Ci ho proprio fatto caso con Elettrona quando mi ha chiesto di chiudere gli occhi di fronte allo spot di un’agenzia di viaggi il cui audio era un telefono che squillava a vuoto, e poi la voce metallica “l’utente da lei chiamato non è al momento raggiungibile”. Se chiudi gli occhi e non guardi le foto delle persone in vacanza, il messaggio sonoro di quello spot è “cazzo ma questi non rispondono mai! Col fischio che li chiamo!”
Con le pubblicità “progresso” anni 80 e 90 hanno fatto la stessa cosa: se l’audio forniva quelle che all’epoca erano le informazioni corrette disponibili, guardare quell’alone viola trasmetteva un messaggio diametralmente opposto: “dai sieropositivi stai alla larga” infatti cos’è rimasto impresso di quell’audio? La musica di fondo (“oh superman” di Laurie Anderson) e “se lo conosci lo eviti” quindi a lungo andare, sierofobia portami via!
“E che noia un altro termine? Omofobia grassofobia e adesso sierofobia? Avete rotto con ‘sto politicazzolacorrect!”
Nessun politifilmmentalecorrect, qui si sta identificando un fenomeno in quanto dargli un nome è il primo passo per imparare a riconoscerlo, ammetterlo anche a se stessi, e combatterlo: lo stigma sociale ai danni delle persone con HIV che in più casi di quanto si creda, trasforma in carnefici le stesse vittime. Sempre volendo ammettere come accettabile il termine “vittima” perché cazzo anch’io ho il virus in corpo, e sono stato discriminato più o meno pesante da qualche sierofobico demmerda però non mi sento vittima perché so difendermi e metterli tutti quanti al loro posto. Forse nel mio caso è il virus la mia vittima, mica mi ha dato il consenso per vedersi incatenato dai farmaci! Né ho la sua autorizzazione per bloggare a quest’ora! Se lui invece preferisse guardarsi Netflix? Qui bisogna per forza dare voce a cHIVoce non ha! E niente, neanche nei post seri riesco a smettere di fare il burlone perché l’alternativa sarebbe incazzarsi con mezzo mondo a causa della sierofobia mediatica e alla fine starei male soltanto io, mettendo a disagio anche i lettori.
Ma siete proprio sicuri che sia corretto dare dell'”untore” così a scatola chiusa? Tutti si indignano quando si leggono certe vicende di cronaca però io vorrei si riflettesse di più perché una narrazione scorretta danneggia in primis chi subisce determinati attacchi di predatori sessuali senza scrupoli, perché è quello e solo quello il loro nome. Probabilmente se certi personaggi fossero stati negativi all’HIV avrebbero usato l’acido, i coltelli, dio bono non fatemi pensare altro.
Lascio tutti alla storia di Stefania Gambadoro, una donna uccisa più volte: dalla sierofobia dei medici che ha permesso all’HIV di non essere individuato in tempo permettendogli di andare in AIDS, dall’uomo che l’ha tradita nel peggiore dei modi curandosi solo sulla carta e rimanendo capace di trasmettere il virus non solo a lei, e dalla burocrazia. Ma è anche la storia di Silvia Gambadoro, sorella di Stefania che vuole lottare fino in fondo per darle almeno giustizia.
Morire di AIDS nel 2017 dopo che i pregiudizi dei medici hanno ritardato la diagnosi. Stefania Gambadoro è morta di stigma, di sierofobia.
Stefania Gambadoro, morta di sierofobia
Quanto danno fastidio i personaggi dell’Internet più o meno famosi che pubblicizzano una causa sociale o politica ma poi di fatto in reale se ne infischiano? Si chiama attivismo performativo e bisogna imparare a riconoscerlo per poter stargli alla larga.
Tra il dire e il fare, c’è di mezzo il male. L’attivismo performativo. Tralasciamo i racconti di fantasia e parliamone.
Attivismo performativo: il male assoluto
E a me non mi porti a fare un giro?
… To be continued!
Wuotto work in progress.