Ieri ho letto un raccontino, semplice e molto ben scritto, che parte in sordina, sembra una storia come tante, ma alla fine mi ha aperto un mondo. Forse perché anche a me è capitato a volte di giudicare qualcosa che non conoscevo, senza avere la più pallida idea di cosa ci fosse dietro. Il racconto è tratto da qui, ma lo riporto per comodità. Forse qualcuno di voi conosce già questa storia, ma se non la conoscete, abbiate pazienza per favore, e arrivate fino in fondo.
Quattro stronzi
Me lo ricordo quel pomeriggio. Doveva essere sabato pomeriggio; un sabato pomeriggio di metà anni novanta, con noi poco più che diciottenni che facevamo cose da poco più che diciottenni degli anni novanta: stavamo a casa di chi aveva “casa libera”, bevevamo, fumavamo, cazzeggiavamo.
Non c’erano gli smatphone, né i pc. Non c’era nemmeno internet, né you tube; però in qualche modo -parrà strano- ci divertivamo lo stesso. C’erano le sigarette che facevano ridere, e c’erano le videocassette.
E quel pomeriggio P. aveva tirato fuori una videocassetta tipo “Top 20 punizioni della storia del calcio” e buttati sul divano ci godevamo una serie di prodezze balistiche in bassa definizione, o addirittura in bianco e nero, con un sottofondo di una musichetta improbabile. Ad un certo punto le immagini si fanno sgranate, e una didascalia con pixeloni enormi spiega che siamo ai mondiali del ‘74, partita Brasile – Zaire.
Punizione a favore del Brasile poco fuori area, appena decentrata sulla sinistra. Il 10 del Brasile (che scopriremo poi essere Rivellino) si appresta a calciare; di fronte a lui il muro verde della barriera dello Zaire. L’arbitro fischia, ci aspettiamo tutti l’ennesimo capolavoro che aggira la barriera e si infila nell’angolino. E invece a sorpresa un difensore si stacca dalla barriera, corre come un pazzo sulla palla, la colpisce con ignoranza e la scaglia lontanissimo. I Brasiliani sono increduli, e mentre noi impazziamo sul divano, l’arbitro lo ammonisce.
Abbiamo riso fino alle lacrime, abbiamo rivisto la scena decine di volte, avanti, indietro, a rallentatore, poi una pietosa citofonata della mamma di P. ci ha costretti ad aprire le finestre e ripulire in tutta fretta le tracce del nostro vizioso pomeriggio, per poi salutare la padrona di casa e ritirarci con la coda tra le gambe, ancora sghignazzando per la prodezza dello Zairese.
E nei mesi successivi “l’africano che non sapeva le regole” è stato un leitmotiv di battute e scherzi, poi pian piano la cosa è passata nel dimenticatoio.
Fino a qualche tempo fa, quando nel giocare a tirare le punizioni con mio figlio Fabrizio mi sono ricordato dell’episodio e gliel’ho raccontato, per farlo ridere. Naturalmente -essendo lui un nativo digitale- mi ha chiesto di vedere il video, e in effetti dopo una breve ricerca ho ritrovato su you tube quel filmato che avevo visto l’ultima volta in VHF quasi trent’anni fa.
E insieme al video ho trovato la storia.
La storia della Repubblica Democratica del Congo, che dopo un colpo di stato militare propiziato dalla Cia si è trasformata in Zaire, guidata dal Colonnello Mobutu.
La storia di Mobutu, passato alla Storia come uno dei dittatori più sanguinari e corrotti della tormentata Africa, tanto da assurgere ad emblema del tipico “dittatore africano” e da far definire per la prima volta il suo governo col poco lusinghiero epiteto di “cleptocrazia”, o governo della corruzione;
La storia della prima squadra di calcio dell’Africa nera a partecipare ad un Mondiale di calcio, partita nel 1974 dallo Zaire alla volta della Germania con aspettative propagandistiche da parte del suo dittatore, e sconfitta per 2-0 all’esordio contro la Scozia, e addirittura 9-0 alla seconda partita contro la Jugoslavia, e che alla terza ed ultima partita del girone avrebbe dovuto affrontare il Brasile.
La storia di un jet privato atterrato in Germania con a bordo le guardie private di Mobutu, che hanno preteso un incontro a porte chiuse con la squadra e hanno detto senza mezzi termini ai giocatori che le loro famiglie rimaste in Africa erano ostaggio dell’esercito, e che una sconfitta contro il Brasile per più di 3 a 0 sarebbe costata la vita ai giocatori stessi e ai loro familiari, così come qualunque tentativo di fuga o di denuncia.
La storia di undici uomini terrorizzati che hanno giocato un’intera partita contro i Campioni del Mondo uscenti del Brasile (che per qualificarsi doveva vincere con almeno tre gol di scarto) lottando su ogni palla; undici uomini che con la forza della disperazione sono riusciti a mantenere il punteggio sul tre a zero fino all’85 minuto, quando venne assegnata quella punizione dal limite a Junino.
La storia di Joseph Mwepu Ilunga, numero 2 dello Zaire, che all’85 minuto è in barriera e sa che per salvare la sua vita e quella dei suoi cari da una morte atroce deve resistere per altri cinque minuti, cinque maledetti minuti; e vede sulla palla Rivellino con la maglia del Brasile e il numero 10 sulle spalle, e sa che quel pallone può essere la sua condanna a morte, e ha paura, ha una fottuta paura, e sa che deve fare qualcosa, che Rivellino con i suoi piedini fatati quel pallone non lo deve toccare. E quando sente il fischio dell’arbitro si lancia su quel pallone e lo colpisce con tutta la forza del suo terrore e della sua disperazione, per mandarlo il più lontano possibile.
La storia dei giocatori del Brasile, che da quel gesto apparentemente folle rimangono spiazzati e, ormai qualificati, praticamente smettono di giocare fermando il risultato sul 3-0.
La storia di tutto il mondo che per anni ha riso di Mwepu, l’africano che giocava al Mondiale senza sapere le regole, e che ha celebrato il momento come “la punizione battuta al contrario”
La storia di un giornalista, che nel 2002, dopo la morte di Mobutu e la caduta della dittatura, ha ricostruito l’intera vicenda, rivelando una delle pagine più drammatiche della storia del calcio consumatasi sotto gli occhi ignari di tutto il mondo.
La storia di noi quattro, che eravamo davvero quattro stronzi.
La Storia del mondo, che è fatta dalle storie degli uomini, e in queste trova un senso e un compimento. Storie drammatiche, ridicole, tragiche, miserabili, nel loro piccolo meravigliose.
Si l’avevo già letto ma è veramente un bel racconto.
Conoscevo la storia di quell’episodio.
In effetti, vedendolo la prima volta, fa davvero ridere.
Ma poi capisci, e fa molto meno ridere.
Capisci che dietro un gesto (volontario? solo un errore? non conosceva il regolamento?) c’è ben altro.
Io non conoscevo la storia, credo di aver visto la punizione in qualche antologia del passato e sinceramente ho riso anch’io. Quando ho letto il resto ci sono rimasta malissimo. Sapevo della Cina e della Russia che hanno sempre fatto un’enorme pressione sugli atleti, ma addirittura arrivare a minacciare di morte è sconvolgente. In uno sport, poi, come il calcio, dove si sa che la palla è rotonda e può succedere di tutto.
Pensa con un giocatore Colombiano, “reo” di autorete, anni fa venne ucciso al rientro in patria.
https://it.wikipedia.org/wiki/Andr%C3%A9s_Escobar
Diventa pericoloso giocare a calcio…
Secondo me, più che non conoscere le regole, quel calciatore, aveva così tanta voglia di allontanare il pallone che non ha saputo trattenersi.
Quando si dice che la supponenza innesca meccanismi di giudizio che con la complessità umana rischiano sempre di essere fuori luogo se non del tutto errati; un giocatore professionista che fa una cosa del genere, una motivazione che va oltre la deve pure avere, eppure nessuno ci ha pensato. Trovarsi nelle condizioni di avere sulle spalle la responsabilità della vita o della morte di qualcuno, la maggior parte di quelli che hanno visto quella partita non la conosceva di certo. E quante sono le cose che noi degli altri non conosciamo, non possiamo nemmeno lontanamente supporre?! Non ne sappiamo mai abbastanza, di niente e di nessuno; per questo il giudizio, superficiale o meno, è sempre fine a se stesso, a volte dannoso e comunque sempre da evitare.
Infatti, è proprio quello che ho pensato leggendo questa storia. E per questo l’ho voluta condividere.
E ti ringrazio per averlo fatto!!! ❤
Non ne ero al corrente, sono sincera. Una storia drammatica, incredibile, eravate quattro ragazzi ignari della sua disperazione, non quattro stronzi. Davvero criminale chi ha orchestrato tutto ciò! 😱
Neanche io sapevo nulla, e penso che moltissimi ancora non sappiano. Per me è stata davvero una rivelazione.
Per quanto ci capisco di calcio io, se l’ avessi visto succedere non avrei nemmeno realizzato… 🙂
Prima di attaccare un pippone serio, sdrammatizzo e vado off-topic con uno dei miei aneddoti:
Come ho già detto, non sono un tipo particolarmente “sportivo” e men che meno mi diletto in sport di squadra. Quindi il calcio per me è off-limits da sempre. Però tanto prima o poi con le cose ti ci scontri, quindi sarà stato in terza media mi ritrovai a dover giocare “per forza” dato che l’ insegnante di educazione fisica aveva imposto la “partitona di classe”. Faccio presente che di solito all’ ora di educazione fisica (nei giorni in cui si faceva all’ aperto) io sistematicamente scappavo da un buco della recinzione e mi andavo a chiudere in un bar vicino dove rimanevo fino al termine. Quel giorno infausto però fui acchiappato e – data la mia mole e la mia manifesta inettitudine al giuoco – piazzato in porta. Bene, alla prima azione me ne stavo lì al centro fra i pali simulando attenzione (fosse stato un paio d’anni dopo mi sarei anche acceso una sigaretta, probabilmente) quando vidi la massa dei giocatori arrivare verso di me di corsa. Stava ovviamente per succedere qualcosa che mi avrebbe interessato, quindi simulai ancora più attenzione e addirittura piegai leggermente le ginocchia appoggiandoci le mani sopra. Avevo visto in TV che i portieri facevano così, quindi feci così.
Qualcuno tirò una palla dritta e manco troppo veloce che passò rasoterra alla mia destra, a pochi centimetri da me. L’ avrebbe parata anche mia nonna col bastone, ma io rimasi immobile a guardarla entrare, girando appena la testa. GOL !
Alle inevitabili e colorite invettive da parte dei giocatori della “mia” squadra, mi limitai a rispondere con un’ alzata di sopracciglio ed un laconico “E che dovevo fà… me buttavo” ?
Lì finì la mia partita e scoprii che c’è qualcosa di meglio della porta: la panchina.
Sono profondamente convinta che imporre queste “partecipazioni” forzate ad attività sportive, con l’intento di far socializzare, sia un errore madornale. Per noi ragazze c’era la partita di pallavolo, che ho sempre odiato, perché non ti puoi improvvisare pallavolista quando pratichi ginnastica ritmica… Ricordo ancora la prof che mi gridava, “Colpiscila più forte quella palla, non stai ballando!” con il massimo disprezzo per il mio sport. E ovviamente le mie compagne mi odiavano perché le facevo perdere: non sapevo battere, non sapevo ricevere né tanto meno schiacciare.
Io con gli insegnanti di educazione fisica ho sempre avuto un rapporto conflittuale. Con uno alle superiori venni alle mani e la cosa mi costò una sospensione. 😉
In ogni caso, aveva cominciato lui.
🙂
Ma adesso arriva il pippone serio.
L’ ho già citato, ma questo pezzo di Phil Collins è il sottofondo perfetto per quello che voglio scrivere, quindi lo ri-cito:
Il concetto, già sinteticamente esposto da Elena, è che il giudizio è un’ arma. E come tutte le armi è potenzialmente mortale. Va saputo usare, va dosato nei modi e nei tempi, in ogni caso non bisogna mai abusarne. Siamo portati per natura a “giudicare”, sempre e comunque, tutto e tutti: per ogni fatto di cui veniamo a conoscenza, la tendenza istintiva è quella di giudicare.
Io cammino su un marciapiedi e più avanti, all’ incrocio, vedo un ragazzo che prende una anziana signora alle spalle, la strattona forte all’ indietro e la butta in terra. Giudizio immediato ed istintivo è che il ragazzo stia tentando uno scippo, una violenza o qualcosa di simile. Scatto in avanti per intervenire e un secondo dopo vedo un’ auto fuori controllo che sta correndo con due ruote sul marciapiedi della traversa e si schianta contro il palo del semaforo, mancando la signora per pochi centimetri.
Un secondo prima quel ragazzo era un pezzo di merda da prendere a bastonate, un secondo dopo è un eroe. Cosa sarebbe successo se mi fossi fermato al primo giudizio ?
E quante volte ci fermiamo (tutti, io compreso, mica sò Gandhi) al primo giudizio ? Quante volte sbagliamo perchè semplicemente abbiamo voluto guardare un solo “lato della storia” e non tutti e due, tanto per rimanere sul tema della canzone ?
Soprattutto oggi, con il livello che hanno raggiunto le comunicazioni di massa, siamo quotidianamente sottoposti a migliaia, milioni di “storie” (un tempo sapevamo solo quello che succedeva intorno a noi, oggi conosciamo anche la cronaca locale di una cittadina del Wisconsin)… e per ognuna diamo un “giudizio”. Ma per lo stesso motivo, oggi abbiamo anche i mezzi per informarci, per “sentire l’ altra campana”, per vedere almeno un altro dei tanti lati di ogni storia. Non abbiamo scuse. E’ doveroso (soprattutto quando c’è il tempo per farlo) approfondire, pensare due volte prima di “sentenziare”, e poi pensare una volta ancora.
Perchè se il nostro giudizio fa del male a qualcuno, poi non si può tornare indietro. Il danno è fatto.
Altro palese ed ingiustificabile Off-Topic, ma (assolutamente non c’entra niente col tema del post) mi è rivenuta in mente una canzone e mi punge vaghezza di condividerla…
Che devo fare ? Ogni tanto mi prende così.
Non so chi sia la ragazza del video, ma è una di quelle bellezze anni ’80 per le quali avrei fatto follie… 😀
La canzone è bella, la ragazza anche, ma chissà dov’è finita…
Non conoscevo questa storia e tanto meno la drammatica realtà, ma sai che nel leggerla mi sono venuti i brividi? Che tristezza!!!
La stessa reazione che ho avuto io. Terribile.
Storia molto particolare e coinvolgente, grazie per avermela fatta scoprire! 🙂
Grazie a te per essere passato.